Colpisce soprattutto le donne tra i 30 e i 50 anni,
ma quante siano con esattezza le persone che
soffrono di sclerosi sistemica non lo si sa ancora.
Si può solo fare una stima dei casi in Italia, circa
10 ogni 100.000 abitanti. Perché questa malattia,
anche conosciuta con il nome di sclerodermia, è
rara, eterogenea, e non per tutti ha la stessa
progressione. Ciò che è certo è che compromette la
qualità di vita di chi deve farci i conti e delle
persone loro vicine. E non ha ancora una cura
definitiva.
L’AILS, l’Associazione Italiana Lotta alla
Sclerodermia, con il progetto “Irene Tassara”,
finanzia uno studio integrato sulla sclerodermia,
condotto dalle Università Vita-Salute San Raffaele
di Milano, Politecnica delle Marche, e degli Studi
di Verona, per scoprire quali meccanismi attivano la
malattia e valutare nuove molecole farmacologiche
più efficaci.
«È una malattia autoimmune, dovuta a un’interazione
tra genetica, epigenetica e fattori ambientali»,
spiega Angelo Manfredi, professore associato di
Reumatologia presso la Facoltà di Medicina
dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
«Può comprendere affezioni prevalentemente di tipo
dermatologico, senza coinvolgimento vascolare.
Oppure può presentarsi con vasculopatie e fibrosi
non solo della cute ma anche degli organi interni.
Essendo sistemica, possono venire interessati tutti
gli organi e i tessuti».
AILS, Associazione Italiana Lotta alla Sclerodermia,
conosce bene le sfaccettature di questa malattia
invalidante e ancora mortale. Grazie a un importante
lascito ricevuto da Irene Tassara, ha quindi voluto
destinare 99.000,00 euro a un progetto di ricerca
che coinvolge tre Università italiane, mettendo a
servizio dei malati le capacità complementari dei
tre team che affiancano alla cura clinica dei
pazienti con sclerosi sistemica l’esperienza nello
studio dei meccanismi di base delle autoimmunità,
della flogosi vascolare e dello stress ossidativo.
«L’obiettivo dello studio», spiega il professor
Armando Gabrielli, Responsabile della Clinica Medica
dell’Università Politecnica delle Marche, «è
identificare i meccanismi che governano la fibrosi,
l’accumulo di collageno e il danno vascolare alla
base di questa malattia».
Nelle regioni dei tre atenei, verranno selezionati
200 sclerodermici, a cui saranno prelevati campioni
di fibroblasti e di sangue periferico da analizzare
nei tre centri di ricerca, e tenuti sotto
osservazione per un anno.
La sclerodermia attiva è un circolo vizioso da cui,
per il momento, è ancora difficile uscire.
«All’inizio della malattia si attiva l’endotelio, il
tessuto che fodera l’interno dei piccoli vasi,
immediatamente percepito dalle guardiane
dell’integrità dei vasi, le piastrine, che hanno la
funzione di attivare un meccanismo emostatico, in
modo che la rottura dei vasi si ripari velocemente»,
spiega il professor Manfredi.
Ed è qui che sta il primo nodo da sciogliere sulla
sclerodermia: «Essendoci un’attivazione generale
dell’endotelio, anche le piastrine si attivano in
maniera generale. Rilasciando moltissimi prodotti,
chiamati microparticelle – piccoli pezzi di
piastrine – che entrano in circolo e contribuiscono
all’infiammazione di tutti i vasi interessando
l’intero l’organismo. Questo meccanismo lo
conosciamo da molto tempo, ma non sappiamo cosa
facciano nella pratica queste microparticelle».
«Fibrosi e vasculopatia si manifestano insieme»,
continua la professoressa Maria Grazia Sabbadini,
responsabile del centro di Immunologia
dell’Università Vita-Salute del San Raffaele di
Milano: «Quello che stiamo cercando di comprendere è
come gli eventi che caratterizzano la sclerodermia
si accavallino tra loro, per sondare quanto uno
stimoli l’altro e quali possano essere i meccanismi
patologici e molecolari che stanno alla base».
Perché i meccanismi infiammatori a livello
microvascolare non sono ancora del tutto
comprensibili. «L’infiammazione», continua la
professoressa Sabbadini, «dovrebbe essere un
meccanismo di difesa, ma quando si innesca in modo
incongruo come sistema vascolare della sclerodermia
può portare a danni importanti fino
all’obliterazione e al “drop capillare”».
«Un altro aspetto fondamentale», continua il
professor Claudio Lunardi, Responsabile della UO
Malattie Autoimmuni dell’Azienda Ospedaliera
Universitaria di Verona, «è comprendere i meccanismi
immunologici che portano al danno delle cellule
endoteliali e all’infiammazione, e all’attivazione
dei fibroblasti.
Fattori ambientali come infezioni virali anche
banali e sostanze chimiche possono agire da fattore
scatenante in un terreno genetico predisposto.
Questo studio ci aiuterà a comprendere gli effetti
che stimoli ambientali differenti hanno sulle
cellule nei diversi sottotipi di sclerodermia e sul
maggior rilascio di microparticelle da parte di
cellule endoteliali e piastrine»..
Non ultimo, l’obiettivo
dei ricercatori è anche quello di trovare una cura
più efficace dell’attuale. «Oggi, vengono utilizzati
gli immunosoppressori», conclude il professor
Gabrielli, «ma hanno scarsa capacità di stabilizzare
la malattia e presentano qualche effetto
collaterale. Con questa ricerca, che possiamo
condurre grazie anche ai fondi del progetto “Irene
Tassara”, ci auguriamo che una volta terminata la
prima fase, si possano replicare le fibrosi in
meccanismi animali e testare studi preclinici di
nuove molecole farmacologiche».
AILS – Associazione
Italiana Lotta alla Sclerodermia Onlus è nata nel
2002 su iniziativa di un gruppo di malati affetti da
Sclerosi sistemica (sclerodermia) ed è presente su
tutto il territorio nazionale. Svolge attività
socio-sanitaria offrendo ai malati sostegno,
indicazioni dei centri specializzati, supporto
psicologico, fisioterapia, pratiche di invalidità e
consulenza legale.
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