Ricercatori della University College London hanno
scoperto che alcune persone afflitte dalla
solitudine hanno una minore quantità di materia
grigia in una zona del cervello associata con la
decodifica degli sguardi e di altre comunicazioni
legate ai rapporti sociali.
Pubblicato sul giornale
Current Biology lo studio ipotizza che attraverso un
opportuno addestramento le persone possano
migliorare la percezione degli altri, e quindi
essere meno soli.
Il Dr Bahador Bahrami (UCL
Institute of Cognitive Neuroscience) chiarisce che
dallo studio non è possibile stabilire se la
solitudine sia qualcosa di legato al corpo o
all'ambiente ma sostiene che potrebbe essere
possibile che le persone con una scarsa capacità di
interpretare i segnali i comunicazione sociale
abbiano problemi di rapporti con gli altri e ciò
potrebbe portare alla solitudine.
Ovviamente il problema è
assai più complesso, ma certamente, se mancano i
parametri per interpretare il comportamento degli
altri, possono sopraggiungere isolamento e
solitudine. Possono, ma questa è solo una con-causa,
perchè la difficoltà di interpretazione dei
comportamenti potrebbe essere legata molto più a
situazioni e fattori ambientali: pensiamo solo ad
una persona che va a vivere in un altro paese dove
le regole di comportamento sono molte diverse. Se
non adeguatamente preparata ed istruita in merito,
avrà sicuramente problemi di solitudine,
indipendentemente dalla dimensione delle varie aree
cerebrali, così come avviene per chi vive in realtà
sociali ed ambientali molto chiuse, quando ne esce
ed impatta realtà diverse.
Ma probabilmente i
ricercatori della UCL si riferivano solo ad una
parte delle persone affette da solitudine, quelle
appunto con una particolare area del cervello meno
sviluppata.
Quando hanno iniziato la
ricerca gli studiosi si aspettavano di trovare un
collegamento tra solitudine e le aree del cervello
legate alle emozioni ed all'ansia, ma non è stato
così.
Il Dr Ryota Kanai (UCL Institute of Cognitive
Neuroscience) sostiene che ciò che è stato trovato
rappresenta la base neurologica della solitudine.
Per capire meglio la
posizione dei ricercatori vediamo come hanno
realizzato lo studio.
Per vedere come le differenze tra le diverse
solitudini si riflettono nella struttura delle
regioni cerebrali associate con i processi dei
comportamenti sociali, il gruppo di ricerca ha
scansito i cervelli di 108 adulti sani che sono
stati sottoposti ad alcuni test.
La solitudine è stata dichiarata dagli stessi
partecipanti e misurata con la scala del
questionario sulla solitudine della UCLA.
Controllando le scansioni cerebrali i ricercatori
hanno scoperto che gli individui solitari avevano
una massa cerebrale grigia inferiore nella zona del
solco temporale superiore posteriore (pSTS), che è
coinvolta nella percezione sociale di base e nel
movimento degli occhi di chi abbiamo davanti,
confermando che la solitudine è associata ad una
difficoltà nell'elaborazione dei messaggi sociali.
Questo per quanto riguarda i 108 adulti che hanno
partecipato a questo studio.
Per misurare la
percezione sociale, ai partecipanti sono stati
mostrati tre volti su di uno schermo ed è stato
richiesto di valutare quale aveva gli occhi non
allineati e dove stavano guardando, se a destra o a
sinistra. Le persone solitarie hanno avuto maggiori
difficoltà nello stabilire la direzione dello
sguardo confermando il legame tra solitudine,
dimensione del pSTS e percezione dello sguardo.
Quindi, conclude il Dr.
Kanai, aiutando le persone affette da solitudine a
leggere in modo più corretto i messaggi sociali che
arrivano dal mondo circostante si potrebbe
contribuire a migliorare la situazione, e la strada
potrebbe essere anche quella di un'app per
smartphone.
Per saperne di più
Brain Structure Links Loneliness to Social Perception
University College
London
( Marco Dal Negro )
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