Per
limitare la diffusione negli ospedali delle
infezioni di batteri spesso resistenti agli
antibiotici, i responsabili del Johns Hopkins
Hospital hanno deciso di associare alle normali
procedure di disinfezione un sistema robotizzato che
si è dimostrato piuttosto efficiente.
Uno studio pubblicato l'1 gennaio 2013 sul giornale
Clinical Infectious Diseases spiega come funziona il
sistema e le verifiche che sono state fatte.
Per contenere la
diffusione dei superbatteri i responsabili hanno
utilizzato delle apparecchiature che erano state
messe in campo per la prima volta nel 2002 a
Singapore, durante l'epidemia di SARS. In seguito
molti ospedali U.S. si sono dotati di queste
attrezzature, da usare in caso di attacchi con
l'antrace.
Per realizzare lo
studio, il gruppo del Johns Hopkins, dopo avere
effettuato la normale pulizia ha sigillato alcune
camere singole dell'ospedale ed ha messo in funzione
gli apparecchi.
In una prima fase l'attrezzatura ha nebulizzato
perossido di idrogeno, acqua ossigenata, ricoprendo
ogni cosa con un sottilissimo film di 2-6 micron.
Essendo però la sostanza tossica anche per gli
esseri umani, sia per ingestione che per contatto
prolungato, nella seconda fase un apparecchio più
piccolo ha scomposto l'acqua ossigenata H2O2 in
acqua ed ossigeno risolvendo il problema.
Il programma ha
riguardato 6.350 pazienti che sono stati ricoverati
in 180 camere private del Johns Hopkins Hospital e
che sono stati seguiti per due anni e mezzo.
Circa metà delle camere ha subito questo trattamento
supplementare tra un paziente e l'altro.
Nel complesso sono stati rilevati organismi
multiresistenti ai farmaci nel 21% delle camere
analizzate, e la maggior parte riguardava le stanze
non trattate.
Secondo i ricercatori il trattamento ha ridotto
dell'80% le probabilità da parte dei pazienti di
essere infettati da enterococchi resistenti alla
vancomicina (VRE)
Per saperne di più vedi
la versione inglese di questa notizia,
The Johns Hopkins Medicine
(MDN)
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