Il 12 maggio è stata la giornata mondiale della
Fibromialgia, una sindrome complessa che tocca corpo
e anima di chi ne soffre: «Non confondiamola con il
solo dolore cronico», dicono gli esperti del CReI,
il Collegio Reumatologi Italiani.
La Fibromialgia, chi la conosce da vicino, i
fibromialgici e i loro cari e chi se ne prende cura,
i reumatologi, sono tre attori con tre ruoli
diversi, ma necessariamente sinergici.
Perché la Fibromialgia è una sindrome
multifunzionale, complessa, che riguarda il 2-4%
della popolazione, circa 2 milioni di persone in
Italia, in prevalenza donne.
«La fibromialgia riguarda la persona nel suo
complesso e inevitabilmente chi le sta vicino»,
continua il Presidente del CReI, Stefano Stisi,
Responsabile della Reumatologia dell’Ospedale Rummo
di Benevento. «Purtroppo, su questa sindrome ci sono
ancora tante incomprensioni: è tuttora diffusa
l’idea che si tratti di una sintomatologia che abbia
a che fare con i soli disturbi del tono dell’umore e
dell’ansia. Ma oggi, sappiamo bene che non è così».
Ma cos'è la fibromialgia?
«E' una ipersensibilizzazione del sistema centrale.
Può manifestarsi spesso su una base genetica,
scatenata da eventi traumatici, per lo più di ordine
psicologico o di incapacità di adattamento a
condizioni di stressors continuati o di flogosi
concomitanti o ancora - come dicono i recenti studi
americani - per la maggiore permeabilità
dell’intestino ai batteri nocivi introdotti con i
cibi.
Si manifesta oltre che con un dolore muscolare
diffuso con astenia, disturbi del sonno, di ansia,
dell’umore e della sfera cognitiva che minano
seriamente la qualità della vita relazionale e
lavorativa delle persone che ne sono affette»,
spiega Stisi.
Cosa si può fare affinché ci sia sempre più
chiarezza su questa sindrome?
«Dobbiamo diffondere più notizie su questa malattia
invalidante e tuttora non ben compresa anche dai
sanitari, oltre che da alcune persone che stanno
vicino ai fibromialgici.
L’impegno del CReI è quello di continuare a
studiarla, di fare formazione ai medici di famiglia
che sono i primi che vedono i pazienti e che li
indirizzano poi dallo specialista di riferimento: il
reumatologo, che farà una diagnosi differenziale
adeguata, valuterà eventuali comorbilità con altre
patologie reumatiche che possono intercorrere
insieme alla Fibromialgia, come la sindrome di
Sjögren, l’artrosi… Altrimenti il rischio è
ritardare la cura adeguata del paziente e procurare
danni invalidanti permanenti.
La diagnosi precoce è importante», sostiene il
Presidente del CReI..
In una delle cinque
raccomandazione del CReI per l’appropriatezza
prescrittiva si legge che la cura va condivisa con
il paziente.
«La sola terapia farmacologica come dicono i dati è
efficace, ma da sola questa potrebbe non essere
sufficiente.
Il primo atto
terapeutico di noi medici è l’empatia e la
comprensione del dolore del paziente, mentre quello
del paziente è la responsabilità nel processo di
cura di sé.
Chi soffre di questa
sindrome ha a disposizione diversi strumenti, tra
cui le terapie non farmacologiche, come l’attività
fisica aerobica, la balneoterapia, la terapia
cognitivo-comportamentale, il Tai Chi, o la SPA, o
il Pilates o le tecniche mind-body.
Condividere la cura con
il paziente è fondamentale, perché gli insegniamo
quanto si può fare insieme, responsabilizzando così
noi medici e i malati», suggerisce il Segretario del
CReI, Gianniantonio Cassisi. La cura, insomma,
riguarda ogni attore coinvolto e richiede costanza e
attenzioni da parte di tutti.
Per saperne di più
CReI
Collegio Reumatologi Italiani
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