Un gruppo internazionale di ricercatori ha scoperto che l'uso di due farmaci protegge almeno in parte topi sottoposti a radiazioni. Se somministrati entro le prime 24 ore i farmaci sono in grado di proteggere la formazione di cellule staminali nel midollo spinale in modo da permettere al corpo di rigenerare i globuli rossi distrutti dalle radiazioni.
La scoperta ha il limite di riferirsi ai topi ma ha il pregio di aprire nuove strade di studio anche per gli esseri umani che siano stati sottoposti a radiazioni sia per motivi terapeutici che a causa di incidenti nucleari.
Tra gli effetti letali delle radiazioni vi è la distruzione delle cellule staminali che formano i globuli rossi del sangue ed un gran numero di cellule del sistema immunitario.
I trattamenti attualmente disponibili possono contrastare alcuni aspetti dei danni dovuti alle
radiazioni, ma hanno effetti collaterali ed alcune limitazioni nell'utilizzo.
Gli scienziati che hanno realizzato questo studio hanno utilizzato tecniche di
ingegneria genetica per identificare i geni presenti nel midollo
spinale che aiutano i topi a sopravvivere dopo
l'esposizione a radiazioni. Molti dei geni trovati erano già noti per il loro ruolo protettivo contro il danno da radiazioni, ma in un topo, avevano un'alterazione che moltiplicava l'attività del gene trombomodulin (Thbd).
Questo gene codifica un recettore della superficie cellulare che aiuta le regolazione della produzione di sangue e di altri processi. Altri studi hanno
confermato che alti livelli di Thbd possono aiutare la rigenerazione delle cellule che creano il sangue dopo i danni subiti dai topi in seguito all'esposizione a radiazioni.
E' noto che il Thbd aiuta l'attivazione di
una proteina, la proteina c (aPC), che contribuisce al funzionamento delle cellule che formano il sangue.
Gli scienziati hanno testato soluzioni sia di Thbd che di proteina c attivata (aPC), in topi irradiati con dosi potenzialmente letali ed hanno trovato che in ambedue i casi vi era una sopravvivenza superiore rispetto ai topi non trattati. Il trattamento entra i 30 minuti successivi all'irradiamento permetteva la sopravvivenza e la generazione di un alto numero di cellule staminali deputate alla formazione del sangue.
Con la proteina c attivata (aPC) somministrata entro le 24 ore dall'irradiamento raddoppiavano i tassi di sopravvivenza dei topi trattati rispetto a quelli non trattati.
Il Dr. Martin Hauer-Jensen, che ha
condotto il gruppo di ricerca, conclude spiegando
che attualmente le terapie successive all'esposizione a radiazioni consistono sostanzialmente in trasfusioni e somministrazione di fattori della crescita, mentre con questo studio si è aperta una nuova strada, anche
se non sarà facile ripercorrerla sugli esser umani. E' comunque opportuno ricordare che l'utilizzo sia del aPC che del Thbd è già passato dai test clinci per il trattamento di altri problemi.
Il gruppo di ricerca è stato diretto dal Dr. Martin Hauer-Jensen alla University of Arkansas for Medical
Sciences, dal Dr. Hartmut Geiger al Cincinnati
Children's Hospital Medical Center e dal Dr. Hartmut Weiler al Blood Research Institute of Wisconsin.
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Pharmacological targeting of the thrombomodulin-activated protein C pathway mitigates radiation
toxicity.
( MDN )
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