Da
qualche giorno, anche Caltabellotta, paesino in
provincia di Agrigento, può vantare il suo
contributo al rispetto del protocollo di Kyoto: ai
primi di maggio, infatti, è entrata in funzione la
sua "fattoria del vento", una centrale eolica
composta da una decina di aerogeneratori per una
potenza complessiva di 7,5 Mw. Un esempio che molti
enti locali italiani sono ansiosi di seguire, visto
che alla fine dello scorso marzo erano oltre
cinquecento le richieste di connessione di impianti
eolici presentate al Gestore della rete di
trasmissione nazionale dell'energia elettrica (Grtn).
Dopo una partenza rallentata, dunque, l'eolico è
oggi in Italia al primo posto nella corsa alle fonti
di energia.
Con oltre mille aerogeneratori, disseminati
soprattutto nelle Isole e nel Sud, per poco meno di
700 Mw di potenza, l'Italia è quarta in Europa
nell'impiego dell'energia del vento, segnando una
crescita del 60 per cento nel solo 2001, secondo i
dati forniti dalla European Wind Energy Association
(Ewea). Il primato spetta alla Germania con più di
otto mila Mw. Seguono Spagna e Danimarca con oltre
tre mila Mw l'una, due mila e 400 l'altra. Le
ragioni di questo rilancio sono apparentemente
ovvie: il vento è una risorsa inesauribile, gratuita
e impossibile da monopolizzare. E, alla luce degli
impegni di Kyoto, anche tra le più idonee: "Gli
aerogeneratori non provocano emissioni dannose per
l'uomo e per l'ambiente e non hanno alcun tipo di
impatto radioattivo o chimico, visto che i
componenti usati per la loro costruzione sono
materie plastiche e metalliche", affermano alla
sezione italiana dell'International Solar Energy
Society (IsesItalia), associazione no profit che
promuove l'uso delle energie alternative.
Irrilevanti, secondo i sostenitori di questa risorsa
rinnovabile, sarebbero anche l'inquinamento acustico
prodotto dal roteare delle pale e l'interferenza
sulle comunicazioni e il disturbo alla fauna
volatile.
L'entusiasmo per la soluzione eolica non è però
unanimemente condiviso nel mondo ambientalista. Tra
i più diffidenti, il Comitato Nazionale del
Paesaggio (Cnp), il cui presidente, Carlo Ripa di
Meana, ha definito il recente proliferare di
progetti per nuovi impianti "un affarone succulento
che nulla ha a che fare con la sostanza del
protocollo di Kyoto e con una seria politica di
riduzione dei gas a effetto serra". Secondo l'ex
ministro dell'Ambiente, questa corsa ad acchiappare
il vento rischia di "sfigurare irreversibilmente il
paesaggio italiano'' e di "compromettere la
vocazione turistica di molte località". Zone oggi
incontaminate verrebbero "aperte al bracconaggio,
alle discariche, ai rally di mezzi motorizzati, a
ulteriori cementificazioni". E da non sottovalutare
anche i pericoli mortali ai quali il movimento delle
pale esporrebbe gli uccelli rapaci, con il risultato
di "vanificare anni di lavoro per la reintroduzione
e protezione di queste specie".
In effetti, le "wind farm" non possono propriamente
definirsi delle presenze discrete: composte da
decine di mulini d'acciaio alti 60/70 metri, con
pale di 40, non passano certo inosservate nel
paesaggio italiano. Senza contare il contorno di
scavi, manufatti e chilometri di strade che
necessari alla realizzazione degli impianti. Ed è
significativo che su "Ilsoleatrecentosessantagradi",
newsletter mensile di IsesItalia, si suggeriscano
stratagemmi per mimetizzare gli impianti. Per
esempio: costruire torri a traliccio (migliori di
quelle tubolari, in quanto "consentono di
intravedere il cielo e le montagne sullo sfondo")
tinteggiandole in bianco tendente al grigio e
rivestire in pietra locale le cabine di
trasformazione. Tra gli ambientalisti c'è anche chi
pensa che l'impatto visivo dell'eolico sia il male
minore e in parte risolvibile, come Fabrizio Fabbri,
direttore scientifico di Greenpeace. Che suggerisce
anche un'alternativa: gli impianti offshore, già
installati al largo delle coste di numerosi Paesi
del Nord Europa. Senza dimenticare anche in questo
caso, "la necessità di studi preventivi che tengano
conto dell'impatto sulle correnti e sull'ecosistema
marino".
"L'eolico rimane una soluzione di grande validità
per produrre energia elettrica in modo decentrato
sul territorio nazionale", dicono alla IsesItalia,
"soprattutto nelle aree interne dove maggiori sono
da sempre i problemi di approvvigionamento
elettrico". Inoltre, anche se le centrali eoliche
richiedono grossi investimenti, hanno costi di
gestione ridotti e il vantaggio di produrre
occupazione.
Ma è proprio nel risvolto economico-finanziario
della corsa all'eolico che i paladini del paesaggio
italiano puntano il dito. Non essendo, infatti,
necessario una valutazione d'impatto ambientale
(Via), se non per le zone sottoposte a determinati
vincoli, comuni e regioni potrebbero essere
invogliati a costruire gli impianti dalle
contropartite offerte dalle aziende, nonché dalle
agevolazioni economiche e legislative previste.
"Alcune regioni", affermano i promotori del Cnp,
"oltre a guadagnare dalla vendita dell'energia,
potrebbero usufruire dei fondi strutturali dell'Ue e
del valore finanziario dei certificati verdi,
commerciabili in borsa". Documenti preziosi, questi
ultimi: per accedere al futuro libero mercato
energetico, infatti, le grandi aziende devono
infatti dimostrare che almeno il due per cento della
loro produzione elettrica deriva da una fonte
rinnovabile.
Fonte: http://www.galileonet.it
Su questo argomento vedi anche:
I venti antartici verranno utilizzati per produrre
energia
Eolico ed impatto ambientale
Energia eolica, concorso Enel per nuovi progetti
Nel 2000 sono stati installati nel mondo più
impianti eolici che nucleari
Nelle Hawaii la centrale solare eolica piu' grande
al mondo
Tre nuove centrali eoliche in sicilia
Nuove centrali eoliche nelle marche
|