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Seed savers: la lotta per salvare i semi che costano poco 

 

Il 30 giugno 1980, sotto gli occhi di milioni di persone ignare, si consumò una delle peggiori distruzioni dell'agrobiodiversità mai perpetrate nel Vecchio Continente. Solo alcuni e pochi attivisti protestarono quando la Comunità Europea creando il Registro Europeo Comune incorporò in esso tutti i registri nazionali in cui erano elencati i semi approvati per la vendita commerciale. Immediatamente le ditte sementiere pretesero che oltre 1.500 varietà di piante fossero dichiarate "sinonimi" perché, secondo loro, erano solo nominate diversamente a seconda della nazione, ma di fatto erano solo dei duplicati. In un intento di riordino e standardizzazione i burocrati di Bruxelles arrivarono alla decisione di dichiarare illegali quei 1.500 nomi e di eliminarli, assieme ai relativi semi, dalla lista comune delle sementi ammesse alla vendita. Quando il registro fu finalmente pronto, 1.000 varietà vegetali erano state cancellate dai listini commerciali per questa semplificazione legale. Erano quelle varietà che essendo non ibride e senza proprietario rappresentavano la parte più povera del mercato, semi che rendevano ben poco ai commercianti. 
Fra quelli che disputarono intorno a questa decisione c'era l'associazione Henry Doubleday Research Association (HDRA), da tempo impegnata a diffondere le tecniche di agricoltura biologica, che sostenne che solo il 38% di quei semi erano effettivamente sinonimi e iniziò a cercarne e a conservarne dei campioni di queste varietà destinate alla distruzione, affinché non andassero completamente perdute le loro genetiche invise. A distanza di tempo HDRA ha avuto ragione della sua caparbietà e la sua Heritage Seed Library (HSL), una vera e propria banca genetica dedicata a semi di ortaggi da tempo usciti dai circuiti commerciali, spesso con alle spalle una storia di decenni, minacciati da estinzione: un esempio di come mantenere in vita piante altrimenti perdute. Oggi, grazie all'impegno dei Seed Guardians, una rete di volontari che coltivano e moltiplicano i semi di HSL, è possibile per chiunque avere l'opportunità di acquistarli e nuovamente coltivarli, potendo così nuovamente gustare quei sapori del passato. Molte varietà da loro conservate sono passate tra le mani delle generazioni passate, le hanno nutrite e sono state la gioia di tanti orticoltori. Sono oltre 700 quelle offerte annualmente dal catalogo di HDRA e valutate come particolarmente adatte ai sistemi di agricoltura biologica per le loro naturali resistenze. 
Purtroppo anche oggi, dopo decadi, i burocrati governativi sono ancora all'opera per stroncare la diversità genetica dei campi con un colpo di penna. Sono molte le varietà che non faranno in tempo a vedere il prossimo millennio e in quest'anno di giubileo si consuma un'ulteriore ecatombe. Un regolamento europeo varato recentemente non permette più l'esistenza di nomi di varietà di dominio pubblico e moltissimi ortaggi vecchi di cinquanta o cento anni sono stati cancellati dal Registro decretandone così la sparizione. 
Che fine ha fatto il pomodoro chiamato Re Umberto, che per 120 anni ha popolato l'Italia ed ora e stato ufficialmente abbandonato alla sua sorte di oblio? E quanto tempo impiegheremo invece per dimenticare completamente la cipolla di Chioggia o la cicoria barba di cappuccino o il cavolo verza padovano altrettanto spariti? Delle 47 varietà di cavolfiore del 1999 oggi ne rimangono solo 31 ancora iscritte: il toscano di S. Giuseppe, il Romanesco gennarese, il precocissimo d'Ingegnoli sono alcune delle varietà che non mangeremo più. Cinquanta invece le varietà di fagiolo cancellate dal catalogo nazionale. Il verdone, il montedoro, il ciliegino nano di Trieste, il burro d'Ingegnoli, il bobis d'Albenga, il Rimini: questi i nomi che non faranno ritorno. Sono 360 in tutto le varietà cancellate in Italia e quindi non più commercializzabili, e questo fa presupporre un numero considerevole nel resto dell'Europa. Sono tutte varietà non ibride il cui prezzo di vendita non viene più considerato remunerativo dalle ditte sementiere che preferiscono commercializzare al loro posto gli ortaggi ibridi F1, dai costi cinque o dieci volte superiori e non in grado di produrre seme, costringendo così l'agricoltore all'acquisto annuale di semente. Una vera manna per il già prosperoso mercato sementiero divenuto in questa maniera forzoso. Delle 323 varietà di pomodori prodotti in Italia solo 83 sono non ibride, cioè solo il 25%; percentuali simili valgono anche per peperoni e per melanzane e tutti questi ibridi, a parte qualche dignitosa eccezione, sono ottenuti con l'utilizzo di manodopera a basso costo in paesi del terzo mondo. Dati simili emergono anche per altri ortaggi come meloni, cetrioli, cocomeri, cavoli, zucchino, la cui scelta varietale è costituita dal 70 all'90% da ibridi F1. 
Ciò che sta avvenendo in Europa è solo il quadro di una tendenza mondiale che porterà all'estinzione di fatto degli ortaggi non ibridi. Il 28 giugno scorso il gruppo Seminis annunciò di essere intenzionato a dismettere dalla sua produzione di seme 2.000 varietà di ortaggi. Seminis controlla un quinto del mercato globale dei semi di ortive ed è la fonte di almeno il 40% della semente venduta negli USA. La compagnia ha costituito il suo impero acquisendo una dozzina di ditte più piccole e le divisioni delle ortive di Asgrow, Petoseed e Royal Sluis. Il risultato di questo agglomerato è l'offerta di 8.000 differenti varietà di 60 specie di ortaggi. Ma nella prospettiva di un "piano di ristrutturazione globale e ottimizzazione" un quarto di queste varietà andranno perdute perché non più vendute. Ad essere dismesse saranno ancora una volta le piante di varietà più vecchie, non ibride, in grado quindi di dare seme di genetica uguale a quella della pianta madre, e non brevettabili, che rappresentavano un bene pubblico di biodiversità che da ora innanzi non sarà più disponibile. Si profila davanti ai nostri occhi un futuro per la campagna dove la biodiversità sarà seriamente compromessa e Civiltà Contadina non vuole e non può assistere senza nessuna reazione. 
Presto, una volta eliminate dal mercato tutte le varietà di un tempo non ibride, non ci rimarrà da seminare altro che ciò che imporranno le ditte sementiere e saranno certamente piante coperte da brevetto, che pagheranno diritti d'autore e che non potremo utilizzare per riseminare così come potevano fare, e hanno sempre fatto, le generazioni passate. Con lo scopo di non perdere i gusti e la cultura della biodiversità, oltre alla libertà di seminare ciò che si desideriamo, parte anche in Italia l'iniziativa di formare una rete di salvatori di semi così come ne sono sorte in tutto il resto del mondo occidentale dove si identificano sotto il nome di seed savers, i "salvasemi". 
Civiltà Contadina vuole organizzare anche in Italia una rete di persone che si pongano a guardia della biodiversità minacciata, che ospitino e coltivino nel proprio orto queste piante altrimenti perdute, per costituire una banca genetica aperta e pubblica. Metteremo a disposizione di tutti i soci che vorranno entrare a far parte della rete dei seed savers di Civiltà Contadina i semi, le conoscenze e gli strumenti per compiere quest'opera così importante. Combatteremo così la standardizzazione dei gusti e la sterilizzazione dell'agrobiodiversità voluta dal mercato globale e dalle leggi protezionistiche dei diritti dei mercanti di geni. Se non vogliamo un futuro di OGM e di semi brevettati e l'unica possibilità di opporci è conservare in vita insieme i semi puri e originali e creare un catalogo comune per condividerli. 
Il progetto è di arrivare a creare almeno 100 orti conservativi in tutta Italia entro primavera, dove in ognuno di questi un seed saver di Civiltà Contadina adotti almeno una varietà destinata all'estinzione. Che sia un progetto raggiungibile è confermato dalla testimonianza resa da Michaela Andorfer, rappresentante dell'organizzazione dei seed savers austriaci, in occasione della conferenza stampa che ha inaugurato l'anno scorso la nostra iniziativa, la quale ci ha raccontato che dopo soli 8 anni di attività sono 5.000 e conservano insieme ben 8.000 varietà di piante nei loro orti. 
Il risultato di quest'azione sarà la dimostrazione che l'impegno in piccole cose di persone ordinarie è molto efficace quando si occupano di biodiversità, affinché la sorte di migliaia di piante non sia di morire dimenticate ma vivere nell'orto di un seedsaver.
Fonte: Seed savers di Civiltà Contadina

Su questo argomento vedi anche:

http://www.civiltacontadina.it/seedsavers/sdsvrsfrset.htm
e mail:seedsaver@libero.it

 

 

 


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