La notizia non è incoraggiante: i 15 paesi
dell'Unione europea hanno rallentato la loro corsa a
tagliare le emissioni di gas "di serra", i gas
inquinanti responsabili del riscaldamento
dell'atmosfera terrestre e quindi del cambiamento
del clima. I dati raccolti dall'Agenzia europea per
l'Ambiente sono chiarissimi: nell'insieme dei paesi
dell'Unione oggi le emissioni di anidride carbonica
(CO2) e altri gas di serra sono del 3,5 per cento
inferiori al livello del 1990. Si potrebbe dire che
siamo quasi a metà strada rispetto all'obiettivo,
visto che il protocollo firmato a Kyoto nel 1997
assegna all'insieme dell'Unione Europea una
riduzione dell'8% rispetto al livello del 1990 entro
il periodo compreso tra il 2008 e il 2012. E però
due anni fa, nel 1999, le emissioni dei 15 erano del
3,8% inferiori al livello del '90: in altri termini
sono leggermente risalite, i progressi iniziali
stanno rallentando. Nel comunicato diffuso a
Copenaghen, dove ha sede, l'agenzia ambientale
dell'Unione europea parla di "leggera inversione"
rispetto agli sforzi per realizzare l'obiettivo di
Kyoto, ma il segnale è pessimo: anche perché il
clima è un terreno di conflitto politico tra
l'Europa e gli Stati uniti, da quando
l'amministrazione Bush ha deciso di chiamarsi fuori
dal primo trattato internazionale che obbliga i
paesi industrializzati a ridurre le emissioni
prodotte dai loro sistemi energetici e industriali.
L'Unione europea si è impegnata a ratificare lo
stesso quel trattato, forse nei prossimi due mesi;
se lo faranno anche Giappone e Russia, come pare,
allora il Protocollo di Kyoto entrerà in vigore.
Certo, resteranno fuori gli Usa che da soli fanno un
quarto delle emissioni mondiali annue. Anzi, secondo
l'agenzia europea le emissioni americane sono
aumentate almeno del 14% tra il 1990 e il 2000.
L'Unione europea si è data obiettivi differenziati
al suo interno per tenere conto delle differenze
economiche tra paesi: è la cosiddetta "suddivisione
dell'onere" (burden sharing). Il meccanismo fu
studiato nel 1997 (sotto la presidenza olandese).
Distingue tre tipi di emissioni, ognuno risultante
da un diverso settore dell'economia: il settore
energetico, l'industria ad alta intensità
energetica, il settore interno. Per il settore
energetico la quota di emissioni "ammesse" è
calcolata fissando limiti all'uso del carbone e un
minimo indispensabile di uso di fonti rinnovabili e
cogenerazione. Per l'industria energy-intensive c'è
un minimo di miglioramento dell'efficienza
energetica. Quanto al settore interno, fu stabilito
un massimo ammesso di emissioni pro-capite. Per i
paesi che hanno un Prodotto interno lordo inferiore
al 90% della media europea è stata concessa una
tolleranza maggiore nei settori energetico e
industriale (sono Spagna, Portogallo, Grecia e
Irlanda): un meccanismo di "equità" verso i paesi
"in via di sviluppo" all'interno dell'Unione
(simile, almeno in via di principio, al meccanismo
che i paesi del Sud del mondo rivendicano su scala
mondiale).
C'è da chiedersi perché si inverte la tendenza
europea. All'inizio, la riduzione delle emissioni è
stata dovuta soprattutto al taglio dato negli anni
'90 dal Regno unito, che aveva sostituito il carbone
nelle sue centrali elettriche con il meno inquinante
gas naturale. Negli ultimi due anni però in Gran
Bretagna (seconda "emettitrice" dopo la Germania)
l'uso di carbone è tornato ad aumentare e le
emissioni di CO2 sono salite dell'1,2% nel 2000 su
base annua (anche se restano del 7% più basse
rispetto al 1990). La performance migliore è quella
della Germania, che ha tagliato le sue emissioni del
19,1% rispetto al 1990, dunque è vicina al suo
obiettivo (21%). Nove paesi europei sono lontani di
oltre metà dal loro obiettivo, e l'Italia è tra
questi (insieme a Austria, Belgio, Danimarca,
Grecia, Olanda, Portogallo e Spagna). La Spagna
mostra la situazione peggiore: le emissioni sono
salite del 33,7% rispetto al '90 (aveva il permesso
di aumentare fino al 15% entro il 2010). Insomma:
l'Europa, abituata a fare la prima della classe nel
confronto con gli Stati uniti, dovrà fare meglio i
suoi conti.
Tratto da: :
www.ilmanifesto.it
Su questo argomento
vedi anche:
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