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Dalle Dolomiti un segnale sulla salute dell'Adriatico

 

Alcuni ricercatori dell'Istituto di Geologia Marina del CNR, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Ambientali dell'Università di Venezia, hanno dedicato particolari studi a questo minerale, un carbonato doppio di calcio e magnesio, che compone la dolomia, cioè la roccia delle Dolomiti. Questa, sottoposta agli agenti atmosferici, si sgretola e si riversa nei fiumi veneto-friulani sotto forma di granelli più o meno grandi; i granelli più piccoli e leggeri sono tenuti in sospensione dalle correnti, insieme ad altre sostanze provenienti, principalmente, dagli scarichi delle industrie (piombo, radionuclidi) e dalle coltivazioni agricole (fosforo) che specialmente nel Veneto sono presenti in grandi concentrazioni. I carbonati, che compongono la dolomite, se da un lato possono agire da diluitori delle concentrazioni di alcuni inquinanti nei sedimenti marini, dall'altro possono localmente favorire la concentrazione di alcuni elementi (metalli) quali manganese, zinco e cadmio, data l'affinità di questi ultimi per i carbonati.
Una volta raggiunte le foci dei fiumi, i granuli più fini di dolomite continuano a rimanere in sospensione nell'acqua, mentre quelli un po' più grandi si depositano sul fondale marino prospiciente. Data la sua ben definita area di provenienza e le sue caratteristiche d'inalterabilità in ambiente marino, la dolomite diventa così un importante indicatore per distinguere le zone del Mare Adriatico più direttamente influenzate dagli apporti dei fiumi veneti, da quelle caratterizzate dagli apporti del Po, contraddistinti da una diversa composizione di minerali (silicatica). Si possono, in questo modo, distinguere le diverse influenze delle aree più industrializzate d'Italia. I ricercatori, attraverso campionamenti effettuati con navi oceanografiche, hanno potuto mappare la presenza di questo minerale, riversato principalmente dai fiumi dell'Italia nordorientale nell'alto e medio Adriatico fino alla fossa di Pomo, all'altezza dell'Abruzzo. I campioni di sedimento del fondale sono stati raccolti con speciali strumenti, chiamati box-corer e carotieri, soprattutto nel periodo 1980 - 95; i dati ottenuti sono stati pubblicati e messi a disposizione delle Università, Enti locali, Ministeri per contribuire alla programmazione di una corretta gestione del territorio e delle acque. E' attualmente in corso un'ulteriore elaborazione dei dati per meglio caratterizzare gli apporti fluviali e per fare indagini sulla sedimentazione della dolomite nel corso dei secoli. Altrettanto interessante è, infatti, la storia della formazione di questo minerale - spiegano i ricercatori del CNR - che ricorda le cime imbiancate della catena alpina, ma che i n realtà è nato decine di milioni di anni fa, in un mare poco profondo, e per giunta molto caldo. Qui si depositarono lentamente strati di sabbia e fango carbonatico, ricchi di magnesio. Nelle prime fasi di sedimentazione la dolomite era formata solo da piccoli nuclei di cristallizzazione dispersi nella massa del carbonato di calcio, più comunemente conosciuto come calcare. 
Fonte: Almanacco della Scienza del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

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