Secondo le previsioni dei ricercatori queste "le
tempeste di sabbia", capaci di trasportare verso
l'Europa tonnellate di polveri, saranno sempre più
frequenti in futuro. Ad esserne più colpita è
l'Italia meridionale, ma nel 1990, le sabbie
trasportate dal vento hanno raggiunto persino la
Svezia mescolandosi alla neve.
"La causa principale è la desertificazione - spiega
il dottor Stefano Guerzoni, ricercatore presso
l'Istituto di Biologia del Mare del CNR - fenomeno
provocato anche dall'attività dell'uomo. Nella
fascia settentrionale dell'Africa il paesaggio è
stato modificato da un'agricoltura intensiva che ha
impoverito il terreno; nei periodi di siccità, che
spesso si abbattono su questo continente, le
campagne vengono abbandonate, quindi inaridiscono ed
offrono ai venti ulteriori polveri". "L'osservazione
del fenomeno meteorologico - sostiene Guerzoni - ci
aiuta a comprendere i mutamenti atmosferici in atto
e a prevedere gli effetti della desertificazione".
Da qui l'importanza di monitorarlo. Grazie all'uso
dei satelliti oggi è possibile controllare gli
spostamenti, l'estensione della massa di sabbia e,
con l'uso combinato di strumentazioni laser, si può
stabilire anche la quantità del materiale
trasportato dal vento. Attualmente, nel corso di un
anno, si registrano soltanto da due a quattro
episodi eclatanti, mentre quelli di portata media
sono circa una decina. Secondo studi recenti le
particelle hanno un duplice effetto: le più grandi
sembrano bloccare le radiazioni solari dirette verso
la Terra, contribuendo a diminuirne il
riscaldamento, mentre le particelle più sottili
possono avere un ruolo contrario, creare cioè uno
"scudo" che impedisce alle radiazioni riflesse di
fuoriuscire dalla bassa atmosfera, provocando il
fenomeno di riscaldamento comunemente conosciuto
come "effetto serra". Ma ancora tante possono essere
le conseguenze, oggi ancora poco conosciute, della
diffusione delle sabbie. Queste, essendo ricche di
carbonati, riducono, ad esempio, l'acidità delle
piogge, componente che danneggia le foreste e crea
danni agli ecosistemi; inoltre, per l'alto contenuto
di fosforo, sono un nutrimento importante per la
crescita delle alghe che vivono nell'oceano e che
non hanno l'approvvigionamento proveniente dalla
costa.
Se la sabbia sia una manna o un danno per
l'ecosistema è quindi da verificare. Proprio per
questo, oltre alle osservazioni satellitari, ai
campionamenti diretti dell'aria, il CNR, in
collaborazione con altre Istituzioni scientifiche e
nell'ambito di un progetto europeo, sta raccogliendo
campioni marini nell'area compresa tra Sardegna e
Spagna, a sud del Mar Ionio e intorno all'isola di
Creta, allo scopo di rilevare se ci sono segni
evidenti di fertilizzazione delle alghe in occasione
di deposizioni di sabbie sahariane.
Fonte: Almanacco della Scienza del Consiglio
Nazionale delle Ricerche.
Su questo argomento
vedi anche:
La fuliggine ed effetto serra
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