Un convegno promosso dall'Accademia Nazionale delle
Scienze, detta dei XL, e dal Cnr ha permesso di fare
il punto sui biocombustibili: rifiuti, grano, semi
oleosi, etanolo non rappresentano ancora
un'alternativa praticabile all'energia tradizionale,
cioè petrolio e nucleare. Maggiori aspettative da
idrogeno, fotovoltaico ed eolico.
I rifiuti, il grano, i semi oleosi (colza, girasole
ecc.), l'etanolo prodotto dalla canna da zucchero
sono davvero un'alternativa al petrolio, la fonte di
energia tradizionale del nostro pianeta? Oggi come
oggi, non sembra proprio, almeno stando ai dati
presentati oggi al Convegno Biocombustibili tra
realtà e illusioni, promosso a Roma dall'Accademia
Nazionale delle Scienze, detta dei XL, e dalla
Commissione per la diffusione della cultura
scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche,
in collaborazione con la Fondazione Adriano Olivetti
e l'Unione dei Giornalisti Italiani Scientifici.
Se guardiamo ad esempio all'Italia osserviamo che
detiene, con una quota del 70%, il primato europeo
nel settore dei biocombustibili, ma solo perché è
l'unico paese dell'Ue a produrli. Eppure nel 1995,
anno cui si riferiscono le statistiche più recenti,
riusciva a coprire appena un duemillesimo (1/2,000)
dei suoi consumi primari di energia. Per quanto
riguarda poi l'Europa, il consumo dei
biocombustibili liquidi rappresentava in quello
stesso anno un dodicimillesimo (1/12,000) dei
consumi primari dell'Ue.
La situazione non sembra diversa neppure per il
biogas, che sempre nel 1995 costituiva meno di un
millesimo (1/1,500, per la precisione) dei consumi
primari. Una produzione proveniente in massima parte
da discariche di rifiuti, ottenuta però più come
attività antinquinamento che per ottenere
propriamente energia. Emblematico da questo punto di
vista l'esempio della Cina, unico paese al mondo che
ne ha tentato un'utilizzazione su larga scala con 7
milioni di impianti domestici impiantati e adesso
abbandonati.
Anche il biodiesel - come hanno precisato Mario
Giampietro, dell'Istituto Nazionale di Ricerca per
gli Alimenti e la Nutrizione, Sergio Ulgiati, del
Dipartimento di Chimica dell'Università di Siena e
Giuseppe Munda, dell'Università autonoma di
Barcellona - va inteso come fonte residuale, visto
che si parla di 300.000 tonnellate prodotte, per lo
più grazie a contributi statali, a fronte di un
consumo totale, tra riscaldamento e trasporto, di 22
milioni di tonnellate annue.
Il vero problema è dunque legato alla produzione su
larga scala di biocombustibili. Fatta eccezione per
alcuni casi isolati, come la Finlandia dove si
utilizzano le foreste e la densità di popolazione è
bassa, la produzione massiva comporterebbe una
quantità di terreno arabile enorme, varie volte
superiore a quello esistente sulla Terra, escludendo
così l'ipotesi dell'importazione, e avrebbe comunque
costi economici enormi, soprattutto nei paesi in via
di sviluppo, in quanto incrementerebbe il costo
degli alimenti.
Non esiste allora alternativa a petrolio o energia
nucleare? Niente affatto. Il Convegno ha infatti
evidenziato le forti aspettative legate a fonti di
energia alternative quali l'idrogeno, il
fotovoltaico o l'eolico, che potrebbero veramente
fornire una valida risposta all'energia
tradizionale: "Sono temi che dovremo comunque
approfondire a livello europeo e mondiale - precisa
Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, Presidente
dell'Accademia Nazionale della Scienza, perché il
problema delle fonti di energia richiede di essere
governato globalmente".
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