Maria Pia De Vito
L'intervista
Maria Pia De Vito è una cantante molto nota al di fuori dei confini italiani, e il suo nome è legato al jazz internazionale, di ricerca. Il nome della performer e cantautrice partenopea, infatti, è ben conosciuto dalla rivista americana 'Down Beat', i cui critici l'hanno accolta nella categoria 'Beyond artist', accanto a
Cesaria Evora, Caetano Veloso e
Joni Mitchell.
Qualità di interprete già eccellenti, che negli anni sono state affinate lavorando a fianco di musicisti quali Rita Marcotulli, Enrico Rava, Joe Zawinul, Gianluigi Trovesi, John
Taylor.
E dopo i bellissimi album 'Phoné' e 'Verso', arriva una chicca, sintesi di jazz e virtuosismi, Mediterraneo e Oriente: "Nel respiro" (Provocateur) in cui è accompagnata dal pianista John Taylor, dal chitarrista Ralph Towner, dal bassista Steve Swallow e dal percussionista Patrice Heral.
Nel corso delle dieci tracce, De Vito offre una interpretazione essenziale e al tempo stesso passionale, dove il respiro, e non la voce (anche se sublime) è protagonista dell'intero lavoro. Non a caso la De Vito è appassionata della ricerca degli Area sulla voce e sui suoni.
Il titolo già dice molto..forse non bastava più la sua voce?
Be' in effetti è un po' così! Ho scelto questo titolo proprio perché volevo approfondire una ricerca più nel respiro che nella mia voce, come se fossi arrivata a un momento della carriera in cui la voce, appunto, non mi bastava più. E indagando nel respiro, ho trovato invenzioni, nuovi dialoghi, fenomeni liberatori della creatività.
'Nel respiro' è un incontro tra il dna mediterraneo e la purezza orientale. Come descriverebbe questa ricerca?
Ho sempre amato la versatilità, l'arricchimento che proviene da ogni cultura, anche quella più lontana. Alcuni esempi sono i brani 'Now and Zen' e 'Int' 'o respiro', che canto in napoletano. Certo, il gesto teatrale e la ricchezza interpretativa, anche nel pronunciare una singola parola, provengono dall'essere napoletana, e sono caratteristiche che mi porto nel sangue.
Tra napoletano e inglese, certo, c'è una differenza di espressività
Sì, certo. Io tra l'altro conosco non tanto il dialetto napoletano, perché in casa si parlava italiano, quanto il napoletano letterario, che ho imparato leggendo le commedie di Eduardo De Filippo, così efficace ed essenziale. In realtà non è mai stato un problema per me cantare in inglese. Anche se diverso,l'inglese è lingua asciutta cui io cerco di dare passionalità.
Quali sorprese, dunque, ha trovato nel suo respiro?
Studiare il respiro significa entrare in una ricerca che è antica quanto i secoli, specie per culture che hanno mantenuto vivo il contatto con la Natura e le energie. Il respiro è vita, origine di tutto, ritmo eterno. E, contrariamente alle aspettative, il respiro non è affatto regolare. Può trovare frenate e accelerazioni, si adegua alle condizioni di un dato momento, o si ferma. Mentre in musica respiro significa 'pausa': in questo disco credo di aver giocato molto con le pause.
Doti naturali come la sua possono andar contro la tecnologia, eppure si è lasciata andare al phrase
sampler...
Sì anche se è l'unico marchingegno che Patrice Heral ha utilizzato, offrendo in alcuni brani soluzioni ad effetto. Del resto il disco è solo un esempio, un campione di quello che in realtà è il concerto: certi brani, come 'Nel respiro', dal vivo sono diversi ogn sera perché il ritmo, l'interpretazione, sono dati dal solo respiro, in quel preciso momento.
Alcuni brani, come 'Now and Zen', sembrano delle ricerche interiori più che esibizione. E' così?
'Now and Zen' è forse il pezzo che più dà senso a una ricerca musicale e interiore, personale. In momenti di particolare intensità di espressione, inevitabilmente la performance è ricerca.
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