È un’onda morbida, avvolgente e sinuosa, ricca di alcuni
capolavori assoluti interpretati da altrettanti maestri della musica
contemporanea: Jan Garbarek e Ustad Fateh Ali Khan ("Raga
1"),
Stephan
Micus ("Earth"), John Coltrane ("Theme for
Ernie"),
Sussan Deyhim
("Gereyley"), Shakti ("Lotus feet"),
Sainkho
Namtchylak ("Old melodie"), per ricordarne alcuni. Così
vorremmo ricordare che mai, prima d’ora, la prestigiosa Ecm di
Monaco di Baviera aveva "prestato" suoi artisti (in questo
caso Garbarek e Micus) a etichette altre. Ha fatto un’eccezione per
"10 Corso Como".
Il
secondo CD - "Yang Side" - è estroverso, solare, vibrante
ed elettrico. "Maschile" per sintetizzare il concetto in un
aggettivo solo. Ed è assolutamente logico che sia così, in una
creazione che ha il suo cuore pulsante nell’emisfero Yang, e dunque
aspira a librarsi fino alla sommità di Padre Cielo. Questo suo
desiderio di inarrestabile elevazione lo rende gravido di vibranti
ritmi chill out e di alcuni campioni riconosciuti del moderno
métissage: gli Afrocelt Sound System d’Africa e Irlanda
("Inion-Daughter"), Talvin Singh ("Butterfly"),
Nitin Sawhney ("Homelands"), i Dissidenten ("Broken
Moon"), le deliziose Zap Mama ("Africa Sunset"), e via
elencando.
È
una traversata di oltre due ore, quella proposta da "10 Corso
Como". Una deriva musicale tra i generi (la world e il jazz, la
bossa nova e la dance), i continenti (l’India e l’Irlanda, il
Brasile e la Norvegia, l’Africa e la Persia) e le culture
("alta" e "bassa", ancestrale e futuribile,
bianca, nera, gialla e rossa), alla ricerca di un unico,
imprescindibile filo conduttore.
Un
"Possibile Sound" del Terzo Millennio che non ha un inizio e
neppure una fine, ma soltanto un’inarrestabile Flusso: esattamente
come lo Yin fluisce nello Yang- e lo Yang nello Yin – senza
soluzione di continuità, con un movimento ora lento e ora impetuoso,
ora esplicito e ora ammiccante, ora lineare e ora tortuoso. Ma sempre
e comunque in divenire, proprio come il celebre pellegrino
tratteggiato dal saggio cinese Lao Tzu ventisei secoli fa: "un
buon viaggiatore non ha piani predeterminati, e non gli importa nulla
della méta finale".
Gli
artisti
YIN
SIDE
Laurence
Revey. Nata e residente a Sierre, Laurence Revey ha pubblicato
due album a suo nome. La canzone che compare in questa antologia è
tratta dal secondo, "Le creux des fees / Le cliot di
tserafouin", interamente cantato in "patois",
l'antichissima "langue d'oc" ancor oggi parlata in Svizzera
romanda. Anche per questo, ma non solo per questo, Laurence è una
delle interpreti predilette di Hector Zazou: instancabile ricercatore
di "idiomi da salvare".
Iarla
Ó Lionàird. Amatissimo da Peter Gabriel, che l'ha infatti voluto
fra i protagonisti del suo ultimo album "Ovo", Iarla Ó
Lionàird, nativo di Dublino, possiede una voce soavemente angelica.
Capace di esaltarsi sia nei lavori solistici più rarefatti - due
finora, entrambi editi dalla Real World - che, per contrasto,
nell'Afro Celt Sound System: formidabile, visionaria band "di
confine" fra due mondi apparentemente inavvicinabili.
Ductia.
Tre musicisti (toscani) a cavallo fra World Music, New Age e Free
Improvisation. Armoniosa, avvolgente, delicatissima. Come si conviene
a chi non abusa di marchingegni elettronici, ma semmai di uillean
pipes, bouzouki e tin whistles. Senza tuttavia dimenticare l'apporto
tecnologico al "fare musica" contemporaneo.
Stephan
Micus. Nato a Monaco di Baviera nel 1953, Micus si incamminò
per il suo primo viaggio in Oriente a sedic'anni appena compiuti. Da
allora, questo gigantesco "Bruce Chatwin delle sette note"
non ha più smesso di esplorare ogni angolo del globo e di
collezionare strumenti: arcaici, singolari, desueti e spesso
dimenticati. Tanto che i suoi album, tutti editi dalla Ecm di Monaco
di Baviera, si possono considerare alla stregua di veri e propri
taccuini sonori di viaggio. Redatti in una lingua tanto visionaria
quanto universale.
Sussan
Deyhim. Nativa di Teheran ma da anni trapiantata a New York,
Sussan è l'epitome perfetta dell'artista multimediale del Terzo
Millennio. Coreografa, danzatrice, attrice, regista e - ovviamente -
cantante di stupefacente intensità espressiva, la Deyhim ha studiato
con Maurice Bejart e collaborato (fra gli altri) con Richard Horowitz,
Peter Gabriel, Bill Laswell e Jah Wobble. "Gereyley" è un
dialogo notturno con l'Inviolato, che trae ispirazione da una poesia
di Mawlana Jalaluddin Rûmi, il mistico Sufi del XIII secolo.
Tele
Santana. Nel 1982, Tele Santana era il nome del cittì del Brasile
sconfitto per 3 a 2 dall'Italia di Enzo Bearzot, con tripletta di
Paolo Rossi. Ora, Tele Santana è il marchio di un progetto quanto mai
eclettico, vibrante crocevia fra atmosfere jazzy (un sassofono
solitario sul ponte di Brooklyn...) e beat elettronici. Con la Big
Apple a fare da sfondo.
Masala.
Un trio e anche un progetto, per dirla con una rapida formuletta. Il
trio è composto da Boliwar Miranda (nativo di Bombay e gran virtuoso
di flauto di bambù), Maurizio Dami (tastiere) ed Ettore Bonafè
(tabla). Il progetto è un incontro armonioso fra raga della
tradizione indiana e ambient music di derivazione europea. Questo
"Notturno" è tratto dal loro terzo album, "Drop
7".
Shakti.
Fondato più di venticinque anni fa da John McLaughlin (chitarra),
Zakir Hussain (tabla) e Vikku Vinayakram (ghatam), con l'apporto
determinante del Maestro riconosciuto del bansuri, Pandit Hariprasad
Chaurasia, Shakti è stato il primo combo a fondere, armoniosamente,
le culture d'Oriente e Occidente. Non deve dunque sorprendere che il
suo marchio doc sia proprio il termine che, in sanscrito, indica il
Principio Femminile. Quello che ha come compito supremo la
restaurazione della pace e dell'equilibrio nel mondo.
Jan
Garbarek / Ustad Fateh Ali Khan. Non c'è lembo di terra, nè
fonte sonora, nè respiro dell'anima, che non siano stati
accuratamente ispezionati dal sassofonista norvegese Jan Garbarek, nel
corso dei suoi 53 anni di vita su questo nostro pianeta. In questo
ammaliante raga, tratto da "Ragas and Sagas" (Ecm), fa
comunella con lo straordinario vocalist pakistano Ustad Fateh Ali Khan
e con i suoi stupefacenti musicisti: Ustad Shaukat Hussain (tabla),
Ustad Nazim Ali Khan (sarangi) e Deepika Thathaal (voce).
John
Coltrane. Nato a Hamlet, North Carolina, il 23 settembre 1926,
prematuramente scomparso a Huntington, New York, il 17 luglio 1967, il
sassofonista John Coltrane è stato uno dei Giganti della musica del
Novecento. Qui è immortalato in una ballad (del 1958) dedicata a
Ernie Henry, altosassofonista di Dizzie Gillespie, improvvisamente
scomparso nel dicembre dell'anno precedente. Trane gli rende omaggio
illuminando la canzone di un abbagliante "fuoco interno",
senza quasi torcere un capello alla melodia.
Herbie
Mann. Nato a New York il 16 aprile 1930, Herbie Jay Solomon Mann
è flautista - e sassofonista tenore, e clarinettista basso - dotato
di tecnica sopraffina e di delicatissima sensibilità. Anche per
questo il suo terreno privilegiato d'intervento è, da sempre, il
Brasile della bossa-nova, del quale ci ha lasciato in eredità alcuni
capolavori indimenticabili. Come questo "Consolaçao",
concepito in compagnia del grande chitarrista Baden Powell.
Sainkho
Namtchylak. Nativa di Tuva, minuscola repubblica (ex
sovietica) abbarbicata fra Mongolia e Siberia, Sainkho è una delle
Grandi Voci del nostro tempo. Nulla sfugge all'attrazione della sua
ugola incantata, dalla sperimentazione post-free (con Evan Parker,
Peter Kowald e Ned Rotenberg) alla rivisitazione del canzoniere
beatlesiano, dai canti sacri della tradizione buddhista all'overtone
chanting della sua terra natale. Che lei riesce a innervare di una
sconvolgente modernità.
YANG
SIDE
Feel
Good Production. Ovvero il luogo deputato dove tabla e sitar
allegramente copulano con alcuni afrori selvaggi dei Fabolous Sixties.
Complice la voce di MC Daddy E degli Earthtribe.
Zap
Mama. La World Music nata e cresciuta in quel di Bruxelles, grazie
alle intuizioni folgoranti di Marie Daulne e delle sue cinque
meravigliose compagne di viaggio. L'"African Sunset" qui
proposto è tratto dal terzo disco delle signorine Zap, che non si
chiama "3" - come si sarebbe indotti a pensare - bensì
"7". Perché, secondo la saggia Marie, sette (e non cinque)
sono i sensi dell'essere umano.
Francis
Bebey. Originario del Camerun, Francis Bebey è, al tempo stesso,
musicista, cantante, scrittore e poeta. Fa dunque parte di
quell'eletta schiera di griots che concepiscono l'esistenza quotidiana
come una sequela infinita di occasioni artistiche, da cui trarre semi
sonori da condividere con il mondo intero.
Rasha.
Giovanissima, nativa del Sudan (per la precisione di Ondurman,
l'antica capitale del paese), Rasha è la quindicesima (o forse la
sedicesima, chissà...) di diciotto fra fratelli e sorelle. Innamorata
persa dei ritmi caraibici e afro-cubani, ma anche - perché no? - del
vibrante misticismo Sufi, la fanciulla è la degna continuatrice
dell'opera del nonno paterno: uno dei più influenti musicisti
sudanesi del XX secolo.
Radha.
Duo composto da un musicista italiano (Angelo Ricciardi) e da una
popolarissima star dello Sri Lanka (Sylvester Jayakhodi). Insieme,
opportunamente remixati da Eugenio Colombo, danno vita a un
mirabolante mélange trance-groove, dove ben si avvertono gli echi
delle antiche tradizioni dell'India del sud.
Blade
& Masquenada. Il marchio parla da sè: riprende il titolo di
un famosissimo samba di svariati anni fa, per segnalarci che lo
scenario dentro cui ci muoviamo è il Brasile tropicale. Immaginario e
reale al tempo stesso. Che Blade enfatizza guarnendolo di mood un po'
funky e un po' jazzy, col Carnaval a fare da contorno.
Afro
Celt Sound System. Band a due teste, una bianca (il nostro vecchio
amico Iarla O' Lionaird) e una nera (Moussa Sissokho), l'Afro Celt è
forse la più formidabile macchina da ritmo presente sulla faccia del
pianeta Terra. Ma è anche uno straordinario paradosso vivente,
radicato com'è nella profondità di alcune delle più antiche
tradizioni musicali del mondo, e, al tempo stesso, libero di circuire
le soluzioni più avveniristiche del futurismo sonoro. E', insomma, lo
Yin-Yang trasposto in musica.
Dissidenten.
Sono ormai diciassette anni che i Dissidenten di Friedo Josch, Marlon
Klein e Uve Muellrich fanno zigzag in giro per il mondo. E in questi
diciassette anni sono diventati un mito in Germania e in Brasile,
hanno incantato David Byrne e Brian Eno, hanno collezionato una
definizione - di "Rolling Stone" - che è ormai diventata
una sorta di certificato di garanzia: "The Godfathers of World
Beat". E tanto basta per farli approdare in questa compilazione.
Carlito's.
Cioè Carlo Marrale. Musicista, compositore, cantante,
multistrumentista, produttore. E poi fotografo e pittore. E anche
membro fondatore dei Matia Bazar nel 1975, con i quali divide gloria e
successi fino alla fine degli Ottanta. Ora, dopo lunghi anni trascorsi
in Spagna, è un free surfer dell'espressionismo musicale,
leggiadramente sospeso fra Ambient e New Age.
Govinda.
Di sè, i Govinda dicono di essere "i campioni del transglobal
under pop". Categoria della musica (e del pensiero) che un tempo
era soltanto italiana, ma ora è diventata poderosamente
internazionale. Il mantra moderno qui presentato, infatti, è tratto
dall'album "Atom Heart Madras", pubblicato in ben trenta
nazioni del globo terracqueo. Russia, Messico e Giappone compresi.
Talvin
Singh. Se, come affermava il grande Sun Ra, "Space is the
Place", non c'è dubbio che l'anglo-indiano Talvin Singh abbia
imparato perfettamente la lezione. Epitome perfetta del Nomade del XXI
secolo, Talvin si muove alla velocità del fulmine fra Londra e
Bombay, Okinawa e Madras. Per dare forma e sostanza a una musica
capace di sussumere in sè il sarangi di Ustad Sultan Khan e la tromba
di Byron Wallen, il basso di Bill Laswell e la voce salmodiante di
Shankar Mahadevan.
Nitin
Sawhney. Così il Nostro si descrive nelle note introduttive di
"Beyond Skin", l'album da cui è tratto
"Homelands": "Credo nella filosofia hindu. Io non sono
religioso. Io sono pacifista. Io sono un British Asian. La mia
identità e la mia storia sono definite solo da me stesso - oltre la
politica, oltre la nazionalità, oltre la religione e oltre la
pelle". Serve altro?
Vinicius
Cantuària. Delizioso bossa-novista, fra i pochissimi in grado
di reggere il confronto con il Maestro Venerabile Joao Gilberto,
Vinicius è anche uno spericolato sperimentatore di nuovi linguaggi
musicali. Non per niente fa spesso comunella con l'altro grande
"eversore" del Brasile contemporaneo, Arto Lindsay, che gli
ha prodotto i due album solisti realizzati a tutt'oggi: "Sol na
cara" e "Tucuma". Da quest'ultimo è tratta la
vertiginosa deriva di "Aviso ao navigante".
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