e quelli provenienti dal mondo
dellimprovvisazione». I due dischi in questione si chiamano "Nordan" e
"Agram", sono editi dalla Ecm (il primo è del 1994, il secondo di pochi mesi
fa) e riportano in copertina un unico soggetto, da sempre molto caro sia alla prestigiosa
etichetta discografica di Monaco di Baviera che ai due meravigliosi interpreti dei lavori:
questo elemento è lacqua. Lacqua increspata dei mari del nord, cupa e
minacciosa, sormontata da un cielo in tempesta.E tanto basta per dare unidea, almeno
sommaria, di quel che possiamo trovare dentro questi due autentici capolavori di una
musica al tempo stesso ancestrale e modernissima, magica ed evocativa, prodigiosamente
riportata allattualità dallo spirito di ricerca di due pionieri che meriterebbero
di essere ben più universalmente conosciuti di quanto attualmente siano: la cantante Lena
Willemark e il multistrumentista Ale Möller.
Lena
è una deliziosa signora svedese di una trentacinquina danni, bionda come soltanto
le svedesi doc possono essere e provvista di una voce incantevole, a metà strada fra
quella grintosa di Mari Boine Persen (che però è norvegese, di origine lappone) e quella
sognante di Agnes Buen Garnas. Ale, al contrario, è uno di quegli svedesi atipici che
qualche volta capita di incontrare.Non soltanto perché è bruno come una latino verace, e
indossa un barbone naïf stile improvvisatore berlinese degli anni Settanta (un po
alla Peter Brötzmann, per intenderci): ma perché, soprattutto, è oggi un virtuoso
riconosciuto - e stimatissimo - di uno strumento che con la Svezia centra assai
poco, la mandola. I due se ne stanno allegramente seduti al bar di un hotel del centro di
Milano, in attesa di partire per un concerto serale a Reggio Emilia, ed è un vero piacere
conversare con loro: di quel "Nordan Project" che fa da filo conduttore a
entrambe le incisioni, e di tante altre faccenduole annesse e connesse.
L'intervista
Qual
è stato il vostro percorso musicale?
(Ale).
«Sono partito dal jazz, ero un discreto trombettista. Poi, per fortuna, ho incontrato un
musicista greco, e mi sono avvicinato al folklore di quel paese. E stato un passo
importante per me, perché mi ha spinto a ricercare dentro la tradizione popolare svedese,
ancor oggi vivissima fra i nostri musicisti, anche giovani. Così, da quindicanni a
questa parte, suono soltanto musica tradizionale».
(Lena).
«Io, invece, mi sono mossa in una maniera praticamente opposta a quella di
Ale. Sono nata
e cresciuta in un piccolo viaggio di montagna, con un orecchio ascoltavo la musica folk e
con laltro Radio Luxembourg. Poi, a diciottanni, mi sono trasferita a
Stoccolma: e lì sono stata folgorata dal jazz».
Ma
da dove nasce questa voglia di dedicarsi al folk?
(Ale).
«Un po dal piacere e un po dal modo di "sentire" la musica: che è
poi laspetto fondamentale che deve entrarti dentro, quando suoni. Voglio dire che
quando ci applichiamo al folk, noi non lo "sentiamo" affatto come una musica del
passato: al contrario, ci pare modernissima. E infatti lo è».
(Lena).
«Io credo che si possa amare una musica soltanto se la si rispetta, cioè se si ha un
giusto rapporto di deferenza nei confronti di tutta quella gente che lha suonata e
fatta vivere prima di te. Da qui, da questo afflato, senti crescere dentro di te un
qualcosa di nuovo: una sorta di missione, se posso usare questo termine, che ti consente
di diventare parte integrante dellintero processo creativo».
Nei
vostri dischi si sente, distintamente, una grande vicinanza con gli elementi della natura:
caratteristica che è anche presente in tutti gli altri grandi filoni della musica del
Profondo Nord, da quella celtica alla lappone. Da che cosa dipende questa straordinaria
attrazione reciproca?
(Ale).
«E molto semplice. Nei paesi dove la natura esercita ancor oggi un ruolo dominante,
luomo non può che provare una sanissima forma di amore nei suoi confronti. E da qui
a considerare la natura come una formidabile fonte di ispirazione, il passo è davvero
breve».
(Lena).
«E vero, ma forse è il caso di specificare che nella musica del Profondo Nord,
come la chiami tu, esistono approcci molto diversi con la natura. Nel "joik"
lappone, per esempio, gli uomini, con il loro canto, si rivolgono direttamente alla
natura, alle pietre, ai fiumi e alle montagne. Noi, invece, non possediamo questa
tradizione. Voglio dire che la nostra musica è più legata alla società, alla vita di
relazione fra le genti».
E
dunque, su che parametri si basano le "song" che eseguite?
(Ale).
«Sulle tradizioni, innanzi tutto: che in genere sono soltanto vocali, e si possono
danzare in compagnia. Ma queste tradizioni vogliono che le storie, le leggende, siano
raccontate insieme a una melodia. Dunque quella che facciamo è anche unoperazione
di recupero: riprendiamo vecchie melodie che sono state tramandate per via orale, e di cui
spesso si erano perse le tracce».
(Lena).
«In certi casi, poi, abbiamo creato ex novo una linea melodica originale, e addirittura
nuovi testi: anche se, come è ovvio, abbiamo sempre cercato di rimanere fedeli al modello
originale. Ci tengo a precisarlo perché, dal mio punto di vista, un aspetto basilare del
folk è il rispetto per lidentità della musica. Priva di queste caratteristiche, la
musica che andremmo a suonare sarebbe soltanto un povero canovaccio.Privo di qualunque
anima».
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