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Musica per l'anima

a cura di Roberto Gatti

 

Susana Baca
Recensione del concerto di Milano del 13/07/01
vedi anche la recensione del disco

 

Milano. In una serata piena di musica come non mai (ma è proprio così difficile programmare un minimo gli eventi?), ma soprattutto di zanzare ronzanti e aggressive come Stukas in picchiata, l’estro del momento ci conduce verso

"La notte di San Lorenzo", a Cascina Monluè: dove è previsto il concerto di Susana Baca. Le alternative sono molte, e tutte sfiziose. Ci sono per esempio, a Villa Arconati, i gitani di mezzo mondo, primi fra tutti i formidabili Taraf de Haidouks di Romania. C’è, all’Idropark Fila dell’Idroscalo, il primo appuntamento con il Festival del Blues, che si fa forte del leggendario, inossidabile John Mayall. C’è infine, al FilaForum di Assago, il solito caravanserraglio di musica latino-americana, sempre molto colorata, divertente, coreografica. Ma, insomma, la Baca è pur sempre la Baca: e non soltanto perché è la prima volta che compare in concerto a Milano, e perderla sarebbe un vero delitto. Ma soprattutto perché, di lei, il "New York Times" ha recentemente scritto le seguenti, eloquenti parole: "La voce soave e distinta di Ms. Baca ha lo stesso splendore pulito di tante cantanti pop, ma ha la forza di creare un suo personalissimo stile. Una sua propria tradizione". E’ la medesima impressione - "un’artista straordinaria, visionaria come poche altre" - che dichiara di aver avuto il grande David Byrne al suo primo impatto con la señora, e che l’ha convinto a produrre i due dischi più facilmente rintracciabili qui in Occidente: "Susana Baca" ed "Eco de sombras" (Luaka Bop). Dunque, conviene verificare quel che accade dal vivo.

La prima cosa che accade, al calar della sera di venerdì 13 luglio, è un fuori-programma drammatico ed esilarante al tempo stesso: centinaia di persone che si agitano come burattini impazziti, e sventolano qualunque oggetto a portata di mano per difendersi dagli attacchi delle zanzare-stukas di cui sopra. La seconda è una brevissima quanto succulenta anticipazione di quel che succederà la sera dopo, sabato 14: e cioè una una folgorante apparizione dei Bottari di Portico di Caserta, che per una decina di minuti ci deliziano con i loro ritmi a volte forsennati e ossessivi, altre volte lenti e meditabondi, percuotendo botti e tini di augusta, formidabile possanza. E la terza cosa che accade è - finalmente - quella che ci ha condotto fin qua, in questo angolino dell’estrema periferia milanese ritagliato fra la tangenziale est e la pista dell’aeroporto di Linate: e va in scena alle 10 in punto, quando le fameliche zanzare se ne vanno a dormire, dopo aver fieramente divorato il loro abbondantissimo pasto. Sul palco sale dunque Susana Baca, e la scena cambia come dalla notte al giorno.

La señora peruviana dall’età indefinibile (avrà cinquant’anni, o magari quaranta, o forse addirittura sessanta? chissà...) fa la sua apparizione con una grazia davvero sublime, quasi d’altri tempi, circondata dai suoi quattro abituali musicisti: un chitarrista, un contrabbassista e due percussionisti. Ha i capelli cortissimi, una lunga tunica bianca, uno sciallo candido morbidamente drappeggiato sulle spalle, e, ovviamente, i piedi nudi. Proprio come Cesaria Evora, The Barefoot Diva. Inizia a cantare uno dei suoi hit più celebrati, "Negra presuntuosa", e lo fa con una tale dolcezza, con un senso della melodia così straordinariamente profondo e accattivante su un tappeto morbidissimo di percussioni, che ritornano subito alla mente le parole con cui lei stessa si era presentata qualche anno fa al pubblico delle metropoli d’occidente. Eccole: "E’ il ritmo, solamente il ritmo, ciò che muove il mio cuore? E’ il puro ritmo delle parole, la cadenza delle note che fluiscono dentro le canzoni, ciò che dà impulso a questa nostalgia che mi chiama? E il ritmo, può avere memoria, può viaggiare attraverso il tempo e rendere nuovo l’antico? Può accarezzarci dolcemente, e riportarci la memoria di altre notti lontane? Può possedere un sentimento profondo, e farci danzare dentro la nostra pelle, e farci sentire vivi e felici?".

La risposta è una sequela infinita di sì!!!, ovviamente. E sono proprio tutti questi sì!!! reiterati e convinti a fare di questa señora di Chorillos - il quartiere alle porte di Lima che un tempo non lontanissimo era ancora una comunità di schiavi - una delle chanteuse più interessanti e ammalianti dei nostri tempi. Una sorta di Billie Holiday dell’America del sud, capace di prendere la vita di tutti i giorni e di sussumerla a viva forza dentro le sue canzoni. Capace di afferrare i ritmi della "black culture" del Perù più antico e misterioso - quelli delle processioni religiose, delle filastrocche raccontate dai nonni ai nipotini, delle cadenze poetiche alla ricerca della "quadratura" perfetta - e di farli rivivere tutti insieme, in perfetta sintonia con il ritmo più ancestrale di qualunque altro: quello del cuore, suo e nostro.

E accade così che la señora Baca, per riprendere il suo pensiero originale, riesca a vincere la sfida più eclatante che ha intrapreso con se stessa e con il mondo intero: "la sfida di trovare il vero ritmo della libertà: un qualcosa di simile al vento che permette a un uccello di volare, o a un nuovo linguaggio ben più potente delle parole di afferrarti e di portarti con sè". E che le sue canzoni - "Zamba malatò", "De los amores", "Los amantes", "Valentìn", "Molino molero", una strepitosa versione di "Luna llena" - svolazzino nell’aria con la stessa soave delicatezza di una brezzolina estiva, e richiamino alla mente la medesima, visionaria levità con cui Bob Dylan ha voluto affidare le sue risposte al vento. E che per una voce così, tanto soavemente distillata e "cool", sia valsa la pena di affrontare anche l’impatto terrificante di milioni di zanzare-stukas. Certo che sì!

  Di Roberto Gatti

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email: info@mybestlife.com


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