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E due, si potrebbe affermare facendo la conta degli appuntamenti di
"Suoni e Visioni" finora andati in scena. La rassegna
organizzata dalla Provincia di Milano, dopo aver esordito la
settimana precedente con René Aubry, |
ha infatti presentato al
pubblico - lunedì 26 marzo - un altro rinomatissimo guru della musica
d'oggidì: il compositore e performer inglese Michael Nyman,
sessant'anni o giù di lì, universalmente famoso per le sue
collaborazioni musicali con il regista Peter Greenaway ("The
Draughtsman's Contract", "The Cook, the Thief, His Wife and
Her Lover", "Drowning by Numbers", e via di questo
passo), con svariati altri cineasti di gran vaglia (Jane Campion,
Volker Schlondorff e Neil Jordan, tanto per citarne alcuni), e,
ultimamente, per aver dato vita alla colonna sonora di "The
Claim", l'ultima fatica di Michael Winterbottom. L'ha presentato
in uno scenario prestigiosissimo e troppo a lungo ignorato, il Teatro
Strehler di largo Greppi, vale a dire la nuovissima sede del Piccolo
Teatro di Milano. L'ha presentato alla testa della sua ormai
canonicissima Band di undici elementi, che prevede due violini (Ian
Humphries e Ann Morfee), una viola (Kate Musker), un violoncello (Tony
Hinnigan), un contrabbasso (Martin Elliott), tre sassofoni (Dave Roach
e Simon Haram al contralto e al soprano, Andy Findon al baritono e al
piccolo), una tromba (Steve Sidwell), un corno francese (Dave Lee), un
trombone (Nigel Barr). Oltre al pianoforte gran coda dello stesso
Michael Nyman, ovviamente.
Narra
la leggenda che il giovanissimo Nyman degli anni Sessanta, dopo un
periodo interamente trascorso a studiare la musica folklorica rumena,
si sia guadagnato una robusta reputazione come critico musicale
coniando, nel lontanissimo 1968, il termine "minimalismo":
immediatamente utilizzato per etichettare l'estetica di compositori a
lui anteriori come Philip Glass, Steve Reich e Terry Riley. Narra
ancora la leggenda che i suoi primi lavori - per esempio
"Bells" del 1971 e "Decay Music" del 1976, inciso
per la leggendaria etichetta Obscure di Brian Eno - fossero una vera e
propria estremizzazione degli stilemi più risaputi del minimalismo,
elevati addirittura all'ennesima potenza. In parole povere, una volta
assegnati a ogni strumento una nota e un ritmo, il gioco compositivo
innescato da Nyman consisteva nel rallentare a dismisura le strutture
ritmiche predefinite, accumulando un numero crescente di volte le
unità ritmiche di cui esse erano composte, fino a lasciare soltanto
un flusso amorfo di risonanze dalla durata infinita. E in questo senso
la sua "decay music" si rifaceva esplicitamente allo
"slow motion sound" di Steve Reich, acuendone però il senso
di distacco mediante una progressiva scarnificazione dell'armonia. Che
diventava quasi un elemento di "rarefazione ermetica".
A
confronto del Nyman di vent'anni fa, quello attuale pare quasi
apocalittico, segnato da un imperscrutabile fatalismo di fronte alle
"miserie" del destino umano. I suoi organici orchestrali si
fanno sempre più complessi e sfaccettati, con archi, fiati e voci
recitanti a volontà. La sua musica si decompone per ricomporsi poi
immediatamente, in senso neo-classico e, a volte, quasi mozartiano. E
gli strumenti diventano parte integrante di grandiose progressioni
vorticose. Gli archi incalzano in crescendo travolgenti, che ripetono
con sostenuta violenza e minime variazioni frasi elementari
perfettamente consonanti; i solisti di turno intessono commosse
melodie da adagio settecentesco; l'alchimia sonora che ne scaturisce
pare quasi uno "switch" derivante dal contrasto fra la
tensione veemente delle parti martellanti e ripetitive e la sublime
serenità delle parti cantabili. Ed è proprio da questa
singolarissima "armonia degli opposti" che il compositore
inglese, dopo aver coniato per gli altri l'etichetta del
"minimalismo", ha potuto definire se stesso
"post-minimalista". E va bene così.
Proprio
in questa veste tanto ampia quanto vaga, che aveva un suo perfetto
pendant negli "abiti di scena" (camicia bianca sbottonata
sul collo, ampi pantaloni neri e flosci, giacca nera curiosamente
lunga fin quasi alle ginocchia), il Maestro si è presentato lunedì
sera al pubblico foltissimo ed entusiasta del Teatro Strehler: per
deliziarlo con uno spettacolo meravigliosamente sfaccettato e
multiforme, articolato in due tempi. Il primo edificato su una serie
di composizioni antiche e recenti - "A Zed and Two Notes",
"Car Crash", "Deft Waltz", "Prawn
Watching", "Time Lapse", quattro movimenti della serie
"Water Dances" - e, soprattutto, sulla sonorizzazione di
"Ballet Mécanique": il celebre cortometraggio cubista
realizzato nel 1924, a Parigi, dal pittore Férnand Léger (allora
prevedeva il commento musicale d'avanguardia del compositore americano
George Antheil). Il secondo tempo, invece, è stato tutto centrato sul
progetto multimediale "The Commissar Vanishes" (il
commissario svanisce), già presentato qualche mese fa al Barbican di
Londra: un video a più mani (il produttore Christopher Kondek, il
fotografo e storico David King) sapientemente architettato sulla
falsificazione dei documenti fotografici "ufficiali" del
periodo della dittatura staliniana (gli avversari politici
"miracolosamente" scompaiono, e il Baffone rimane il padrone
incontrastato della scena). Proprio da qui, da questo preziosissimo
"correre in parallelo" di musica e immagini, tanto caro a
Michael Nyman, sono scaturite le note più interessanti dell'intera
serata. Tanto avvincenti ed esaltanti da costringere Nyman & soci
a concedere un "bis" assolutamente non previsto dal copione. |
Di Roberto Gatti English
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