magari un sacco di anni prima. Capita a tutti, da che mondo è mondo, ma non tutti reagiscono allo stesso modo a questo "imperativo giuridico". C'è chi sfoga la propria rabbia maledicendo in pubblico case discografiche e direttori artistici. C'è chi sbuffa come un toro nell'arena, agitando i pugni al cielo per vedere l'effetto che fa. C'è chi manda con gli occhi fulmini e saette, e magari accompagna il tutto con un bel rito voodooo. C'è chi si sente vittima predestinata di tutte le sfighe del mondo, dal ginocchio della lavandaia fino al gomito del tennista. E c'è infine chi, magari dopo aver a lungo borbottato, imprecato, rimuginato, decide di accettare la sfida e di girarla totalmente a proprio favore. Ed è quasi inutile puntualizzare che a quest'ultima categoria appartengono, generalmente, soltanto gli uomini di ingegno. O forse i geni a tutto tondo.
Vinicio Capossela è uno di questi. Lui, saturnino e sulfureo com'è, non aveva la benchè minima voglia di compilare un'antologia dei suoi successi, dal 1991 in qua, e l'ha anche scritto a chiare lettere: "La difficoltà di allestire una raccolta sta per me nella sua non contemporaneità, e del resto, in effetti, sono ancora vivo... Così, quando in seno alla casa discografica è nata l'esigenza di questa pubblicazione, non l'ho presa per niente bene, ho iniziato a toccarmi e fare scongiuri: insomma, la sentivo auspicabilmente piuttosto prematura. Ma alla fine me ne sono fatto una ragione, e, se proprio un'antologia deve uscire, mi sono detto: meglio che sia da vivi!". E questo, non c'è dubbio, è il primo colpo di genio. Tale quale quel famoso aforisma di Ennio Flaiano, che a proposito di un tale ebbe a dire: "La morte lo sorprese che era ancora vivo". E a Capossela auguriamo che questo non accada prima del 2094.
Il secondo colpo di genio è stato quello di chiamare le diciotto canzoni compilate in antologia "L'Indispensabile": "una formula essenziale ed altezzosa, proprio come in fondo deve essere una raccolta", commenta ancora Vinicio, ma assolutamente necessaria per trasformare il tutto in un reperto del passato, in una sorta di monolite del paleozoico. E il terzo, assolutamente folgorante, di trasformare L'Indispensabile in una persona in carne e ossa: una sorta di alter ego alquanto ringhioso e irascibile. Un avversario irriducibile, insomma, contro il quale Vinicio Capossela, il "nuovo" Vinicio Capossela, deve ingaggiare un duello all'ultimo sangue, per poter proseguire impavido verso un futuro radioso (verso il sol dell'avvenire, ci verrebbe da dire). Ed ecco dunque la conseguenza logica, ineluttabile: Capossela e L'Indispensabile si trasformano in pugili che si affrontano sul ring, luogo deputato di tutti gli scontri a due, e vinca il migliore. Ed ecco allora i servizi fotografici realizzati a raffica per quotidiani e riviste: con in testa la maschera di cuoio imbottito che si usa in allenamento, con addosso un accappattoio di seta rosso e giallo, proprio come il Jack La Motta di "Toro scatenato".
Ed ecco poi, dulcis in fundo, lo spettacolo. Quello andato in scena giovedì sera al Palalido, il tempio storico della boxe milanese. Uno spettacolo a dir poco fantastico, per acume, verve e inventiva. Con un enorme ring piantato nel centro della platea, un accompagnatore (di Capossela) che pareva la perfetta controfigura di Don King, il commento affidato a Franco Ligas, la voce classica, stentorea, del pugilato di Canale 5. E poi un arbitro vero che "contava" Capossela nei momenti di difficoltà (molti, visto che Ligas l'aveva presentato come "un pugile che aveva subito numerosissime sconfitte prima del limite..."), alcune splendide ragazze discinte - un'italiana, una giapponese, una brasiliana - che esibivano i cartelli dei vari round (ma anche scritte un po' criptiche come "Torbido", "Bainait" e via elencando), gli sgabelli negli angoli, i secondi con il regolamentare secchio al seguito. Che però, invece dell'acqua, conteneva un bel numero di... lattine di birra: che servivano a Vinicio non soltanto a lanciare gag esilaranti sull'attitudine birresca di uomini e donne, ma anche a dargli le energie necessarie per rintuzzare gli attacchi furibondi dell'Indispensabile. Un po' come capitava a Braccio di Ferro con gli spinaci.
Dentro questa girandola impazzita di suoni, colori, simboli e riferimenti, galleggiava da par suo la meravigliosa band allestita per l'occasione: due fiati, un violino, una chitarra, un basso e una batteria (più il pianforte grancoda di Vinicio, s'intende). E galleggiavano soprattutto le canzoni di un'epopea più che decennale: splendide, commoventi, ironiche, sarcastiche, corrosive, suadenti, abrasive. Caposseliane da cima a fondo, insomma. Qualche titolo, tanto per gradire: "Furore", "Maragià", "Scatafascio", "Che cos'è l'amor", "Corvo torvo", "Con una rosa", "Scivola vai via", un paio di delizie mai sentite prima. E poi un mambo scatenato, "Aggita", tanto esilarante quanto accattivante, che così, a orecchio, potrebbe essere tratto dal repertorio di Lou Monte (quello di "Peppino o' suricillo", per intenderci) o magari anche, perché no, da quello di Louis Prima. Un mambo che, inequivocabilmente, ha legittimato la vittoria ai punti di Vinicio sull'Indispensabile. Almeno secondo il nostro personalissimo cartellino, come direbbe Rino Tommasi. E ora attendiamo, con ansia, la rivincita. |