"Me and a gun" - crudo resoconto di una violenza sessuale subita a Los Angeles quando non aveva neppure vent'anni - e tutte le digressioni di ordinaria magia cantate in "Boys for Pele", il disco del trionfo planetario, interamente dedicato alla dea hawaiana del fuoco: Pele, appunto. Il momento di confrontarsi - proprio lei, così raffinata nel mettere i versi in quadratura, così appassionata e struggente nell'interpretarli, con una voce che qualcuno ha voluto avvicinare a quella di Kate Bush - con il canzoniere di alcuni "colleghi maschi" fra i più prestigiosi: gente come Lou Reed e John Lennon, Tom Waits e Joe Jackson, Neil Young ed Eminem. Tutti "meravigliosi maghi delle parole", come li definisce lei testualmente, e capaci dunque di usarle con grande precisione, efficacia e potenza: "perché le parole sono come pistole, possono ferire e anche uccidere: e ognuno di noi dovrebbe assumersi la responsabilità di ciò che dice. E di come lo dice". Proprio da queste riflessioni profonde, a metà strada fra la poesia e la semiologia, e dall'abilità quasi alchemica di trasformare il "negativo" in "positivo" ("se si cambia il punto di osservazione, ciò che ti ha ferito ti può anche guarire..."), nasce il nuovissimo album di Tori Amos, disponibile in tutto il mondo il 14 settembre prossimo. Si chiama "Strange little girls", è edito dalla Atlantic, e contiene la rivisitazione di canzoni famosissime come "New Age" (di Lou Reed) e "Happiness is a warm gun" (di Lennon/McCartney), "Time" (di Tom Waits) e "Heart of gold" (di Neil Young), "Real men" (di Joe Jackson) e "97' Bonnie & Clyde" (di Eminem). Più altre ancora di Lloyd Cole, Bob Geldof, Stranglers, Slayer e Depeche Mode.
Ma chi conosce almeno un po' l'universo poetico di questra trentottenne chanteuse di Baltimora, figlia di un pastore metodista e di un'indiana Cherokee, intuisce facilmente che un approccio così "letterario" al materiale musicale, soprattutto se composto da altri, non le può certamente bastare. E infatti, chiacchierando con lei, ecco che finalmente salta fuori la motivazione vera, e ancor più profonda della precedente, che l'ha spinta a realizzare "Strange little girls". "Ho sempre trovato affascinante il modo in cui gli uomini dicono le cose, e ancor di più il modo in cui le donne le percepiscono", dice Tori. "Così, ho selezionato alcune canzoni - dodici in totale, e tutte costruite secondo parametri prettamente maschili - e le ho raccontate attraverso la sensibilità di altrettante donne: ognuna con un suo particolarissimo punto di vista, ognuna con una sua personalissima capacità di scovare negli anfratti delle parole emozioni e sensazioni mai intuite in precedenza".
Esemplare, in questo senso, l'inversione di significato imposta da Tori a "97' Bonnie & Clyde", una delle canzoni più violente mai composte da Eminem, rappista trucido e scellerato come pochi altri. "Quando sentii questa canzone per la prima volta", ricorda ora miss Amos, "la cosa che più mi spaventò fu il rendermi conto che la gente trova bella una canzone che racconta la storia di un uomo che fa a pezzi sua moglie... soltanto perché ha un bel ritmo e una musica che ti afferra alla gola. E l'intero mondo balla questa canzone in maniera completamente indifferente, con il sangue che gli cola lungo le gambe e gli sporca le scarpe da tennis: che gliene importa... Ma, credimi, quando parli di come ammazzare tua moglie... non puoi sapere di chi lei diventerà amica quando sarà morta._Ed è proprio su questo "scarto della razionalità" che faccio leva, per capovolgere a modo mio questa ballata crudele". Il suo, infatti, è un "remake" di intelligenza sublime, dolente e sofferto in maniera quasi spasmodica, come la situazione richiede (che sia proprio lei, l'amica ritrovata di quella povera donna?). Ma anche le altre canzoni hanno per denominatore comune - quasi sempre - un "mood" psicologico tendente al cupo andante: quasi che l'alter ego dei "maghi della parola" citati in precedenza sia una donna fatta a immagine e somiglianza della Tori ventenne: troppo sensibile, delicata, candida e indifesa per il mondo di lupi mannari con cui si doveva confrontare.
Giunti a questo punto del racconto, è quasi inutile aggiungere che le "dodici donne" di cui si compone il disco (anzi tredici, perché una canzone vede la partecipazione di "due gemelle") in realtà non esistono: sono soltanto le diverse sfaccettature in cui si scompone una mente sola: quella di Tori Amos, ovviamente. Che infatti, per rendere il suo gioco ancor più veritiero, si è fatta fotografare nei panni di questo manipolo di donne immaginarie dal grande fotografo Thomas Schenk. E che ora racconta di essersi trovata perfettamente a suo agio in questo caleidoscopio di personalità grazie agli esercizi di visualizzazione imparati dal nonno materno: grande "uomo di medicina" e grande ammiratore di Edgar Cayce, il famoso medium americano degli anni Trenta e Quaranta. "Che uomini formidabili erano, tutti e due! E che straordinari guaritori del corpo e dell'anima!", bisbiglia con un sorriso d'ammirazione la deliziosa Tori. "Mio nonno aveva delle mani magiche, capaci di curarti anche a distanza. Quanto a Cayce..._ha attraversato il cielo d'America come una cometa, ha scritto pagine illuminanti sugli argomenti più disparati: la medicina, l'astrologia, l'interpretazione dei sogni, i misteri di Atlantide... E' un vero peccato che di lui, finora, si siano accorti così in pochi!". |