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Musica per l'anima

a cura di Roberto Gatti

 

David Byrne
"LOOK INTO THE EYEBALL"
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Milano. L’ultima volta che era capitato da queste parti, quattro anni fa, per promuovere il suo disco d’allora ("Feelings"), il grande David Byrne aveva un’aria alquanto scorbutica,
 

i nervi facilmente irritabili, i capelli di un marròn alquanto sospetto. Ora è qui per un motivo sostanzialmente identico - promuovere "Look into the eyeball", il suo album in uscita l’8 maggio prossimo per i tipi della Luaka Bop - ma il "mood" che lo sostiene è completamente diverso da allora: infatti è allegro, sorridente, parla poco (ma di buon grado), ha i capelli color sale e pepe (molto più sale che pepe, a dire il vero). E, soprattutto, sembra infinitamente più giovane di prima. E questa è l’ennesima conferma del fatto che non è vero che il rock è solo Musica Giovane per i giovani di tutto il mondo, come implicitamente sostenevano nei Fabolous Sixties l’incommensurabile Bob Dylan (ricordate quando diceva, lo sciagurato, che non bisognava fidarsi di gente che avesse più di trent’anni?) e gli indimenticabili Pete Townshend e Roger Daltrey (voglio morire prima di diventare vecchio, cantavano in "My generation": e meno male che non hanno mantenuto la promessa...). E’ vero semmai il contrario, e cioè che il rock, proprio come il vino, migliora, e molto, con il trascorrere degli anni: come dimostrano ad abundantiam gli stessi Bob Dylan, Pete Townshend e Roger Daltrey, e poi Lou Reed, Bruce Springsteen, Neil Young, Johnny Cash e chissà quanti altri ancora. David Byrne compreso, ovviamente.

Ma non divaghiamo. Il nostro eroe ormai quasi cinquantenne (li compirà nel 2003, se la memoria non ci inganna) arriva dunque di gran carriera, il pomeriggio di mercoledì 11 aprile, nella sala delle conferenze dell’Hilton di Milano, e ci mette davvero poco a creare lì dentro l’atmosfera che più gli aggrada. E cioè... "quella stile seduta psichiatrica", spiega lui affabile: "con l’unica differenza che io - il paziente - sono da solo, e invece voi - gli psichiatri - siete tanti, tantissimi!". E giù una gran risata, candida e innocente come quella di un fanciullo. Dunque si può cominciare, sparacchiando nel mucchio qua e là.

Da un primo ascolto, molto sommario, questo disco sembra molto più romantico e "morbido" dei precedenti. E’ vero?

"Penso proprio di sì, anche se devo dire che è "romantico" a modo mio: vale a dire in una maniera molto "matematica" e "scientifica". Questo perché sono convinto che il romanticismo in senso stretto tenda a trasformarsi, a lungo andare, in una sorta di cliché, che deve poi essere limato e corretto a dovere. E per far questo io uso il ritmo, i tamburi e le percussioni: che mi consentono di bilanciare l’eccesso di malinconia che, a volte, fa capolino nelle melodie e nelle armonie...".

Sembra proprio molto "scientifico" questo modo di procedere...

"E in parte lo è davvero, anche se vorrei ricordare che il primo motore delle mie composizioni è, ancor oggi, l’intuizione. Magari passeggio per strada, e all’improvviso mi viene l’idea - la folgorazione - di una melodia. Allora la incido al volo sul registratore portatile che ho sempre con me, e poi a casa la riprendo e la sistemo. Mi piace molto, questo modo di lavorare!".

Nella "sistemazione", come la chiami tu, c’è anche l’intrusione di molti materiali etnici...

"Oh, sì, non ne potrei più fare a meno... Li butto dentro come piace a me, creando una specie di mix fra un sacco di cose diverse: samba, merengue, cha-cha, rumba, rock... Certo, da me non sentirete mai un tango canonico o una milonga classica: li lascio fare a chi ne sa infinitamente più di me! Io cerco di arrangiarmi alla mia maniera, con le cose che so e con gli strumenti che ho...".

E in questo disco, fra gli strumenti, ci sono anche molti violini...

"Sì, è vero. Forse li ho messi perché, inconsciamente, volevo sottolineare l’aspetto romantico di molte delle mie ultime composizioni. E in ogni caso l’ispirazione mi è arrivata direttamente dalla collaborazione che ho avuto di recente con il Balanescu Quartet. Volevo anche ingaggiarli per questo mio disco... ma erano troppo cari!".

Qualche anno fa, a "Rolling Stone", tu hai dichiarato che "Creuza de mä", di Fabrizio De Andrè, è uno dei dieci migliori album degli anni Ottanta. Hai trovato qualcosa di altrettanto buono, nella produzione italiana degli ultimi tempi? E non ti è mai venuto in mente di fare una "cover" di una canzone di Fabrizio?

"Alla prima domanda devo rispondere di no: purtroppo, non ho più sentito nulla di lontanamente paragonabile a "Creuza de mä", che infatti continuo a duplicare - illegalmente! - per un sacco di amici americani. Quanto alla possibilità di una "cover"... perché no? L’idea mi attira parecchio, e probabilmente l’avrei già realizzata se non fossi stato trattenuto dall’enorme difficoltà di tradurre dal genovese all’inglese! Vedremo in futuro...".

Ma, per il momento, il futuro è qui, in uno dei locali più trendy dell’underground milanese: il Tunnel di via Sammartini, a due passi dalla stazione Centrale. Dove la sera di mercoledì il grande David Byrne si esibisce in un piccolo concerto per un ristrettissimo manipolo di ospiti, alla testa del suo trio abituale (Paul Frazier al basso, Mauro Refosco alle percussioni e David Hilliard alla batteria) rafforzato da un sestetto d’archi tutto italiano, selezionato per l’occasione da Morgan, il leader dei Bluvertigo. E’ un’ora di musica fantastica, scoppiettante, ai limiti del calor bianco. Dove convivono con splendida armonia composizioni del passato recente e remoto ("Nothing but flowers", composta in coppia con Caetano Veloso, "And she was", "Once in a lifetime", mirabolante reperto dei primi Talking Heads, "Sax and violins", composta per Wim Wenders) e melodie dell’ultima ora: "Revolution", "UB Jesus", "Like humans do", "The accident", "The great intoxication". E’ una straordinaria sarabanda di colori, di suoni, di profumi e di richiami alle memorie ancestrali di ogni angolo del mondo, quella che ascoltiamo con le orecchie ben dritte. Dove il nostro (quasi) cinquantenne dimostra una maestrìa vocale e interpretativa a dir poco sublime, e una carica energetica da lasciare a bocca aperta. Buon segno, visto che a luglio David Byrne ritornerà in Italia: per un tour pieno di appuntamenti e di magica alchimia sonora.

  Di Roberto Gatti

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