quasi
camminando su una nuvoletta, un sorriso appena percettibile sulle
labbra e un lampo vivacissimo in fondo agli occhi, ben mascherati da
un paio di occhialoni da vista grandi e spessi. I capelli a caschetto
sono ormai completamente grigi, la mise come sempre nera, la stretta
di mano franca e amichevole: straordinariamente contrastante rispetto
al tono della voce, che esce dalla gola come un sussurro fioco e
circospetto, e non si capisce se sia per l’innata timidezza o per la
proverbiale riservatezza che contraddistingue, in genere, l’intero
popolo giapponese. Sta di fatto che anche alzando la massimo il volume
del registratore quel che rimane impresso su nastro è poco più che
un lamento, e quindi bisogna integrare l’audio con il taccuino e la
scrittura a mano, e tutti e due con la decrittazione di ciò che
appare fuggevolmente sulle sue labbra. Che si muovono al ritmo di un
inglese molto fluente e charmant, quasi del tutto privo di quelle
taglienti durezze che tradizionalmente caratterizzano il "nippon
english", e di gran lunga privilegiano le risposte secche, quasi
scheletriche, all’eloquio torrenziale così caratteristico di tanti
suoi colleghi. Premesso questo, si può anche cominciare...
L'intervista
Mister
Sakamoto, per strano che possa sembrare questo è il suo debutto
assoluto al Montreux Jazz Festival...
"E’
vero, e per me è un grande piacere e un immenso onore essere qui.
Tant’è vero che per questa mia "prima volta", oltre ai
miei abituali compagni di trio - la violinista inglese Sonia Slany e
il violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum - ho invitato anche
una straordinaria cantante mongola: Sharyn Chimedtseye".
Un
nome praticamente sconosciuto in Occidente...
"Già,
e invece lei è un vero e proprio incanto. E’ nata nel 1956 a
Ohrubayan, nella provincia mongola di Suhbaatan, e ha studiato canto -
il tradizionale "urtyn duu", che si può all’incirca
tradurre come "forma lunga" - al Conservatorio di Ulaan
Baatar. La prima volta che l’ho sentita - l’anno scorso, in Corea
- ho pensato: "Mio Dio, ma com’è possibile cantare così
divinamente bene?!?". Poi non ho pensato più a niente: sono
rimasto ad ascoltarla a bocca aperta. E sono convinto che la stessa
cosa faranno anche quelli che andranno a sentirla la sera di domenica
9 luglio, alla Miles Davis Hall..." (confermiamo in pieno, è
andata proprio così: n.d.r.).
E
comunque lei, per questa sua prima assoluta, ha preparato un concerto
molto vario e molto mosso. Infatti, dopo Sharyn, si esibirà da solo
nelle vesti di disc-jockey...
"E’
vero: avrò due giradischi, due lettori di cidì, un lettore Dat, un
microfono, un sacco di armamentari elettronici. A volte mi piace
lavorare in questo modo, perché con la musica elettronica si ha il
controllo totale del risultato finale. Però è anche giusto non
eccedere in esperimenti di questi tipo: finiscono per diventare
stucchevoli...".
E
infatti, subito dopo, lei introdurrà il suo trio abituale...
"Già,
mi piace molto la forma del trio. Ho cominciato a sperimentarla circa
tre anni fa, e trovo che il "piano trio" sia la forma minima
in grado di esprimere al meglio l’essenza della mia musica: che per
altro rende bene anche con formazioni molto più vaste, o almeno
credo... Ma il trio, insomma... è la quintessenza stessa delle mie
partiture: soprattutto le ultime, quelle contenute in "BTTB"
(un acronimo che sta per Back To The Basic: n.d.r.). E poi Jaques
Morelenbaum è un musicista assolutamente fantastico, non a caso è l’arrangiatore
di tutti gli ultimi lavori di Caetano Veloso. E Sonia Slany - che ho
conosciuto qualche anno fa, a Londra, quando ho partecipato al
"Meltdown Festival" diretto da Laurie Anderson - è una
violinista davvero eclettica. Ha una formazione solidamente
"classica", tant’è vero che l’ensemble in cui opera
abitualmente è il Solid String Quartet, ma il suo modo di suonare è
tutt’altro che "classico": è un po’ minimalista, un po’
punk e un po’ rock. Insomma, l’ideale per me".
Ma
lei è qui anche per presentare alcuni temi tratti dalla colonna
sonora di "Gohatto", l’ultimo film di Nagisa Oshima.
"Certo:
il suo primo film dopo quindici anni di "black out" totale,
dai tempi di "Max mon amour"... E’ stato bello tornare a
lavorare con lui, dopo l’esparienza di tantissimi anni fa con
"Merry Christmas, Mr. Lawrence". Infatti Oshima è un
regista che non dà mai direttive, lascia sempre una totale libertà d’azione.E’
una qualità più unica che rara nel mondo della cinematografia
contemporanea, che io ho utilizzato per ideare una colonna sonora a
metà strada fra l’ambient e il melodico.In altre parole, ho
cercato di architettare una mediazione fra l’ambient totale di
"Love is the devil" e le melodie ondivaghe di
"Beauty". Spero di esserci riuscito".
Ha
appena citato "Beauty": vale a dire, a detta di molti, il
suo lavoro più bello da quindic’anni a questa parte. Prevede un
seguito di questo splendido disco?
"Perché
no? Ho molte idee che mi frullano per la testa di questi tempi - mi
pare di essere un cacciatore che attende pazientemente l’arrivo
della preda - e una di queste potrebbe benissimo essere un qualcosa di
molto vicino a "Beauty"...Tant’è vero che sto
incontrando un sacco di musicisti africani, indiani e coreani, con cui
creare quelle "fusioni" fra Oriente e Occidente, e fra
Ancestrale e Futuribile, che mi appassionano tanto. Un’altra
"preda" potrebbe invece essere una modernizzazione dell’antica
musica bizantina, che già avevo ascoltato quando ero studente e mi
aveva affascinato moltissimo. L’avevo come gettata nel
dimenticatoio, ma qualche tempo fa, riascoltandola per caso, mi ha
riconquistato completamente. Perché ci sono, lì dentro, due radici
fondamentali della cultura europea, Roma e Bisanzio: con un pochino d’Arabia
a fare da spezia...".
Altri
progetti cinematografici?
"Forse
uno con Bernardo Bertolucci, con cui ho già collaborato in passato
per "L’ultimo imperatore" e "Piccolo Buddha". Ma
il soggetto per il momento è "top secret", e la discussione
al riguardo ancora totalmente aperta. Se son rose..."
|