nostro Davide si è inventato già dieci anni fa, agli inizi di carriera - è quanto di più
lombardo si possa immaginare: significa "vanno di frodo", proprio come gli spalloni che trasportavano sigarette attraverso i valichi della Svizzera, dal Canton Ticino alle sponde italiane dei laghi di Como e di Varese. Il secondo indicatore, ancor più importante, forse addirittura ecumenico, è che il Van De Sfroos di Mezzegra, ridente paesotto lacustre allocato a un tiro di schioppo da Dongo, ora se lo contendono proprio tutti: dal Club Tenco - dove, nell'ottobre del 1999, è stato trionfalmente eletto quale "miglior artista emergente" dell'anno - ai leghisti "duri e puri" di Umberto Bossi. Che il 1. febbraio scorso, in occasione della festa di Imbolc, il capodanno celtico, hanno cantato a squarciagola "E semm partii" (e siamo partiti), forse la sua canzone più famosa, contenuta nel disco omonimo. Quella che racconta dei tanti lombardi emigrati in America a cercare fortuna, partiti nel giorno di San Macaco e arrivati nella notte di San Nessuno.
Ma Davide Bernasconi da Monza - "sono nato lì, per puro caso, nel 1965" - se ne infischia altamente di questi maldestri tentativi di colonizzazione politica: "Io non ho mai scritto canzoni militanti in senso stretto", dice con una punta di malcelato orgoglio, "perché ho sempre cercato di esaltare le caratteristiche delle persone, aldilà di ogni possibile "colore" politico". E proprio come il Paolo Conte degli inizi si dedicava a tratteggiare, con soave gusto dei particolari, le tipologie dei suoi concittadini astigiani, lui trae linfa e succo vitale dai "laghèe": gli abitanti di quel ramo del lago di Como che da un lato confina con la Valtellina e dall'altro con la Svizzera, che gli piace descrivere come "irrequieti, ironici e soprattutto profondi: come le acque del nostro lago, che già a pochi metri dalla riva precipitano in fondali degni della Fossa delle Marianne". Proprio al lago, tre anni fa, Davide ha dedicato il suo primo disco di grande successo, "Brèva & Tivàn": i nomi dei due venti che lo percorrono da mane a sera, l'uno di mattina e l'altro di pomeriggio. E dei "laghèe", del loro dialetto e dei loro "tic", vuole diventare il bardo per antonomasia: "un cantastorie come lo fu Woody Guthrie per l'America della Grande Depressione, oppure, più modestamente, come lo è oggi Billy Bragg per gli operai anglosassoni".
Il paragone non è buttato lì a caso. Infatti, fin da quando ha cominciato ad alternare il lavoro che gli dava da vivere (faceva lo scaricatore in un'azienda di trasporti) con la sua passionaccia per la musica, Davide ha sempre eletto a suoi modelli personaggi alquanto strani e devianti: i finti fratelli Ramones, i Pogues irlandesi di Shane McGowan (di cui rifaceva alcune canzoni: e anche da qui, da questo "prendere di frodo" le opere altrui per poi riadattarle in dialetto, alcuni sostengono che sia nato lo pseudonimo), i Sex Pistols di "God save the Queen", sulla cui falsariga aveva edificato i Potage, la sua primissimo punk-rock band. E così non sorprende che, ora, la musica di Van De Sfroos sia un crogiolo incandescente di rock allo stato brado e di poesia scintillante, densa di ritmo e di ironia, che si può gustare anche da sola: come dimostra la raccolta "Perdonato dalle lucertole", edita da Edlin. Il tutto condito da una voce assertiva e tonante, e da una mise - scarponi, jeans, bretelle e kangol - che farebbe la gioia di un fattore del Connemara. E sarà forse per questo, anche per questo, che Davide Bernasconi - anzi, De Sfroos - è
stato una stella di "Irlanda in festa": domenica 17 marzo, giorno di San Patrizio, al Palalido di Milano. |