attesi da tempo immemorabile, e riguardano novità assolute, e sono stati tanto
accuditi, vezzeggiati e coccolati da far dire al loro creatore:
"sono davvero felicissimo, perché posso affermare, senza false
modestie, di aver portato a compimento un lavoro eccezionale!".
Applausi scroscianti in sala e sorriso stellare sulle labbra del
protagonista, mentre il di lui cane - di nome Pinocchio - zampetta
giocoso sul palco del Teatro dell’Arte, e la di lui figlia - Teresa
- abbozza un accenno di pianto fra le braccia di mamma Francesca, e la
di lui band - Saturnino in primis - osserva l’intera scena con una
gioia e una rilassatezza che hanno davvero pochi parametri di paragone
nel panorama musicale di casa.
Già l’avrete abbondantemente capito: è di Lorenzo Cherubini che
stiamo parlando. E cioè di Jovanotti, che nella tarda mattinata di
mercoledì 18 ottobre, appollaiato su un buffo sgabello a forma di
gnomo rosso e verde davanti a una platea gremita fino all’inverosimile
- "uhé, ragazzi, da quando abito in un piccolo paese dell’Umbria
non sono più abituato a trovarmi davanti così tanta gente: sono
emozionato..." - ha parlato a raffica per un’ora e mezza
abbondante. Per presentare il suo primo album "live"
("Autobiografia di una festa", Mercury) e il suo web-site
nuovo di zecca (www.soleluna.com).
E, soprattutto, per travolgere cronisti e fans lì convenuti con un
fuoco di fila scintillantemente pirotecnico di pensieri, battute, gag
e commenti salaci. Dimostrando così di aver edificato attorno al
nucleo forte del suo postulato originario - penso positivo - una
"Weltanschauung" di tutto rispetto, da far invidia a intere
orde di meditabondi filosofi contemporanei. "Weltanschauung"
che ora - impresa alquanto ardua - cercheremo di riassumere per sommi
capi.
Il disco, innanzi tutto.
"Non
mi sono mai piaciuti i "live", perché in genere
rappresentano un piccolo trucco per riempire il vuoto fra un disco e l’altro.
Li concepisco soltanto quando contengono vibrazioni eccellenti, e un’energia
identica a quella che ho potuto godere nel corso del concerto. E’
quanto succede in questa "Autobiografia", e devo dire in
tutta onestà che mi sarei davvero rifiutato di produrla, se non ci
avessi trovato dentro, intatta e vibrante, quell’atmosfera di festa
così tipica dei miei concerti. Per farla breve, sono due ore e
quaranta di musica - per trenta canzoni: 29 già conosciute e una
inedita, "File not found" - che ancor oggi mi danno una
carica eccezionale! E poi, lì dentro, c’è davvero di tutto: una
parte grafica che è un vero e proprio racconto; un libretto di 48
pagine bello profumato, perché il mio ultimo tour era pregno di un
sacco di profumi meravigliosi; una tessera contenente un bonus di 50
"sacchi" spendibili nel mio sito Internet. E se qualcuno -
prevengo la domanda - mi chiede che cosa sono i "sacchi",
rispondo subito che sono l’unità monetaria vigente dentro
"soleluna". Insomma, se nei villaggi turistici la spesa si
fa con i gettoni, qui la si fa con i "sacchi". Che valgono
circa mezzo euro cadauno (vabbè, diciamo mille lire...) e servono a
scaricare canzoni tratte da tutti i miei concerti. Bello, no?".
E’
per questo che indossi un cappellino con la scritta
"Napster"?
"E
già (ride abbondantemente)! In realtà, questa è solo una piccola
provocazione che ho voluto indirizzare ai miei discografici, che sono
tutti terrorizzati dalle faccende tipo MP3 e Napster... Ma io da tempo
cerco di convincerli che la musica non morirà di certo per queste
robe qui: tant’è vero che negli Stati Uniti, lo scorso anno, c’è
stato un incremento di vendite di oltre il sei percento, a dispetto di
tutto. E dunque il "downloading" spazzerà via dal mercato
soltanto i dischi costruiti esclusivamente attorno a un singolo,
mentre per gli altri, paradossalmente, sarà addirittura una nuova
forma di pubblicità, come insegna il caso di Madonna... E comunque
sappiate che io sono favorevole al "downloading", tant’è
vero che nel mio sito, a partire dal 23 ottobre, ci saranno tre pezzi
inediti da scaricare. E sappiate anche che il "downloading"
non sarà di certo la morte dei cantanti: male che vada, gli impedirà
soltanto di costruirsi una seconda villa con piscina...".
Sul retro-copertina del disco compare la "Pietà" di
Michelangelo. Come mai?
"E’
una storia lunga. La "Pietà" di Michelangelo è da sempre
la mia opera d’arte preferita, e mi ricordo che ci rimasi di stucco,
da bambino, quando un pazzo la prese a martellate. E allora, adesso
che sono grandicello e anche un po’ famoso, ho pensato: rendiamo
omaggio alla "Pietà" dedicandole un a canzone per ogni
martellata. Però le canzoni sono trenta e le martellate, per fortuna,
erano un po’ di meno. Non bastasse, non siamo neanche riusciti a
trovare tutte le foto che ritraevano la sequenza dei singoli colpi.
Così, a dispetto della nostra buona volontà, alla fin della fiera è
rimasta soltanto l’idea originaria. Che però è forte e positiva,
non vi pare?".
Il
tuo disco è dedicato a una nutritissima schiera di associazioni che
difendono i diritti umani, da Greenpeace a Emergency: alla quale hai
deciso di devolvere tutte le royalties della canzone "Il mio nome
è mai più". Che cosa pensi, invece, del cosidetto "popolo
di Seattle"?
"Ne
penso assolutamente bene, anche se ritengo che il problema della
globalizzazione sia alquanto più vasto e complesso della diffusione
dei McDonald’s nel mondo. Sono convinto che la globalizzazione sia
la forma moderna di quella che un tempo veniva chiamata
colonizzazione, e sono altresì convinto che i diritti che abbiamo
noi, cittadini fortunati dei paesi dell’occidente industrializzato,
debbano valere per tutti. Però penso anche che le sanzioni non
possano essere comminate ai singoli paesi, che già hanno un debito
enorme da fronteggiare, ma alle multinazionali. Nel mio modo di
vedere, insomma, ci dovrebbe essere una struttura sovranazionale -
magari un’emanazione dell’Onu - capace di imporre alle
multinazionali il rispetto dei diritti umani in tutti i paesi del
mondo. Forse è un’idea infantile, o forse è soltanto utopistica:
ma non sono un politico, per fortuna, e mi piace pensare che si possa
arrivare a una soluzione di questo tipo qua. In questo senso, in
definitiva, sono totalmente d’accordo con il "popolo di
Seattle"". |