nella meravigliosa basilica di San Lorenzo Maggiore andava
in scena uno dei concerti più straordinari gustati a
Milano in questi ultimi cinque anni: in assoluto, non
diciamo soltanto nelle cinque edizioni della "Musica
dei cieli". Il merito di questo incanto va
interamente ascritto a Sussan Deyhim, stupefacente
"chanteuse" di Teheran da anni trapiantata in
quel di New York. E', questa quarantatreene signora, una
sorta di "vademecum vivente" dell'arte
multimediale. Danzatrice, attrice, regista, performer
adio-visuale e ovviamente cantante, le sue collaborazioni
sono più intricate dei rami di un baobab: spaziano
infatti dal coreografo Maurice Bejart (proprio per
partecipare a un suo stage di danza a Bruxelles, nel 1976,
Sussan fuggì da casa per non farvi mai più ritorno) al
multistrumentista Richard Horowitz (suo compagno di vita
per più di quindici'anni), e poi a
Peter
Gabriel,
Bill
Laswell, Bobby McFerrin, Jah Wobble, e chissà chi
altri ancora...
Questo
fino a ieri. Perché oggi, ormai pienamente consapevole
delle sue eccezionali capacità espressive, la signora
Deyhim preferisce fare tutto quanto da sè. Per esempio un
disco di indicibile bellezza - "Madman of God",
edito dall'etichetta belga Crammed - dove interpreta, per
citare le sue parole testuali, "alcune classiche
melodie tratte dall'antico repertorio persiano, e musicate
attorno alle poesie di Rûmi, Saadi e altri scrittori Sufi
dall'undicesimo al diciannovesimo secolo". Oppure,
altro esempio, il concerto celebrato a Milano la sera di
giovedì 21 dicembre, per il quale ha approntato un
piccolo e delizioso ensemble composto così: Saam
Schlumminger alle percussioni (zarb e daf), Dawn Bucholz
al violoncello, Reza Derakshani agli strumenti
tradizionali persiani (tar, setar, kamancheh e ney),
Suphala Patankar alle tablas. E proprio per discorrere di
tutto questo, e di un po' di altre cose ancora, ci siamo
fermati con Sussan dopo il concerto...
Signora
Deyhim, come le è venuta l'idea di far ritorno alle
radici della musica classica persiana?
"Per
una sorta di sfida con me stessa. Deve sapere che io ho
sempre fatto parte del circuito dell'avanguardia
newyorkese, tanto che mi sembra ovvio affermare che la
sperimentazione è scolpita a lettere di fuoco dentro il
mio Dna. Ma, al tempo stesso, io provo anche un amore e
una gratitudine immensi per la musica classica del mio
paese natale: è così profonda, stimolante, consapevole
della sua straordinaria spiritualità... Così ho pensato
di mettere le due cose insieme: prendere le vecchie
melodie, riportarle alla loro originale purezza, e poi
trasformarle in un qualcosa di moderno e vibrante. Dove
per "moderno", ovviamente, non si deve intendere
tutta quella "bullshit" che ora va tanto di moda
nelle discoteche e nella
musica
new age: ma piuttosto un qualcosa che riesca a fondere
la purezza antica con il futurismo delle nuove tecnologie.
Spero di esserci riuscita".
Altro
che. E lo spirito Sufi è imprescindibile, in questo
senso?
"Certo
che lo è. Dal mio punto di vista, infatti, il sufismo non
è altro che lo Zen inserito nel corpo dell'Islam: è una
vibrazione estatica di straordinario vigore. Quindi, è
anche un ingrediente fondamentale di quel criterio di
"modernità" di cui parlavamo in precedenza.
Nella musica
Sufi,
infatti, le "vibrazioni" sono ben più
importanti delle note, vorrei anzi dire che sono le
"vibrazioni" a generare le note, e non
viceversa. Qui, dunque, abbiamo un "moto
dell'anima" che genera la musica e la rende viva e
palpabile. E' un qualcosa di profondamente misterioso ed
esperienziale al tempo stesso, che prescinde totalmente
dalle elucubrazioni del cervello e della mente. Proprio
per questo la musica - questo tipo di musica - è forse il
miglior veicolo che possediamo per comunicare agli altri
le esperienze del nostro spirito".
E
Rûmi, da questo punto di vista, è l'ideale...
"Già.
Rûmi è il cantore massimo del nostro romanticismo
spirituale: è così profondo, ineffabile, totalmente
privo di ambizioni e di "controllo mentale"... A
me piace definirlo "il più grande degli
anarchici", perché possiede questo romanticismo che
ti cattura totalmente, questo senso della distruzione
dell'Ego che è un concetto antichissimo e modernissimo al
tempo stesso. Proprio per questo
Rûmi
sta ritornando prepotenetemente alla ribalta, anche fra i
teorici della New Age più seria e consapevole: non a caso
Deepak Chopra, il medico ayurvedico indiano, ha appena
prodotto un album dedicato a lui...".
Già,
e lì dentro c'è anche un'interpretazione di un altro
grandissimo cantore Sufi, Nusrat Fateh Ali Khan. Che ne
pensa?
"Tutto
il bene possibile. Era uno straordinario cantore popolare,
Nusrat, dotato di una passionalità immensa e di una
profondità umana e spirituale davvero senza pari. Lo
conobbi alcuni anni fa a New York, mentre preparava uno
dei suoi tanti spettacoli, e ne rimasi completamente
affascinata.E' stata una perdita davvero gravissima,
la sua morte".
In
alcuni brani del suo disco, "Madman of God",
suona anche un altro grandissimo, il contrabbassista
Reggie Workman. Come sta?
"Benissimo,
direi. L'ultima volta che l'ho visto, alcuni mesi fa, l'ho
trovato in forma smagliante!".
E
il suo primissimo "datore di lavoro", il
leggendario John Coltrane, l'ha mai conosciuto?
"Purtroppo
no, perché lui è morto quando io avevo dieci anni
appena, e stavo ancora a Teheran.Però posso dire che
Coltrane è stato - ed è ancora - il mio primo idolo
occidentale e il mio massimo ispiratore: per la musica, la
spiritualità, l'ideologia, la religione senza confini, e
chissà quante altre cose ancora... Coltrane era un
gigante non soltanto per la musica che faceva,
incredibilmente in anticipo rispetto ai tempi, ma anche
per quella sua straordinaria apertura mentale che gli
consentiva di sperimentare qualunque cosa senza dover
ricorrere a formule precostituite e a inutili steccati
stilistici. E per far capire a tutti quanto grande sia
ancor oggi la mia gratitudine nei suoi confronti, vorrei
aggiungere che io, quando improvviso, lo sento ancora ben
vivo e presente, avverto distintamente il suo spirito
accanto a me. E so per certo che a moltissimi altri
jazzisti succede la stessa cosa...".
E
infatti Elvin Jones, il suo impareggiabile batterista, da
sempre sostiene che Coltrane non era un uomo: era
un'apparizione angelica discesa in Terra a insegnarci
l'amore incondizionato...
"Elvin
ha ragione da vendere...Mi creda sulla parola!". |