Potrà sembrare strano (o forse no): ma l'andamento depresso delle
borse mondiali, dall'ormai famigerato "lunedì nero" del 19
ottobre 1987 a oggi, non ha fatto sentire le sue ripercussioni solo
sui risparmiatori, sui piccoli azionisti, su quella massa sterminata
di yuppie e rampanti così sapientemente messa alla berlina da Tom
Wolfe nel suo libro "Il falò delle vanità".
Sorprendentemente - ma neanche tanto - ha contribuito in maniera
inequivocabile anche a mutare i destini di un "sotto-genere"
ben preciso della Musica Giovane di questi ultimi anni: quello
conosciuto con l'acronimo NAM, alias New Age Music (in lingua: Musica
della Nuova Era).
Per
chi ancora non lo sapesse, la New Age Music era stata inventata
qualche anno prima - per la precisione, nel 1981 - da due coniugi
californiani, Will Ackerman e Anne Robinson, che alternavano il loro
lavoro quotidiano - lui faceva il falegname; lei, più o meno, la
casalinga - con la pratica musicale nella cantina della loro casa di
Palo Alto. Da buoni ex hippy transustanziatisi in yuppie (e chissà
con quale convinzione...), ne avevano le tasche piene della musicaccia
caotica e assordante, zeppa di enfatismo "dance", che erano
costretti ad ascoltare tutti i giorni sulle lunghezze d'onda delle
radio private della West Coast: sognavano una musica
"pulita" ed ecologica, intrinsecamente meditativa ed
essenzialmente strumentale, pregna di quelle sonorità quiete e
soffuse così tipiche del "cool jazz" di trent'anni prima. E
proprio questo tipo di "musica nuova" si allenavano a fare,
nelle loro quotidiane sedute di sperimentazione nella cantina sotto
casa. Finchè, un bel giorno, grazie all'entusiasmo irrefrenabile dei
tanti amici che regolarmente invitavano ai loro "private
parties", decisero di tentare il grande passo: incisero il meglio
delle loro invenzioni su un ellepì a basso costo, e inviarono il
tutto a un disc-jockey di Boston di loro conoscenza, perchè lo
diffondesse via etere dalla radio in cui lavorava.
"In
the search of the turtle navel" si chiamava quel primo reperto di
NAM, firmato per le musiche da Will Ackerman e per l'immagine di
copertina da sua moglie Anne; e fu - quasi inutile dirlo - un trionfo
di portata inaspettata. Agli ascoltatori, infatti, piaceva quella
musica così soffice di chitarre e di tastiere, e così evocativa
delle "good vibrations" del bel tempo andato: così diversa,
in ogni caso, dall'inascoltabile "tumpf-tumpf" della
"dance", non ancora trasformatasi in "house", in
"acid" e in "garage". E, inaspettatamente, piaceva
soprattutto a quella particolare nicchia di pubblico - composta
essenzialmente da manager, yuppie e rampanti dediti all'efficientismo
più estremo - che dalla musica si attendeva in primo luogo una sorta
di "terapia distensiva" e di "ripristino
auricolare", in grado di cancellare dalla mente (ma anche dal
sangue e dai nervi) le conseguenze delle stressanti sedute di
contrattazione a Wall Street. Per questo, a dispetto delle motivazioni
prettamente ecologiste di Ackerman e Robinson - che non a caso avevano
inserito nel titolo del loro primo lavoro due simboli
inequivocabilmente evocativi come la "tartaruga" e
l'"ombelico" - la NAM fu, fin da subito, indissolubilmente
legata ai destini del "rampantismo", dell'"edonismo
reaganiano", dell'"efficientismo" più vieto e
deteriore (che ovviamente, per rendere al meglio, ha assoluto bisogno
di una pausa di profondissimo relax). Ancora per questo,
immediatamente, l'equazione "New Age = Yuppismo" non fu
considerata un dato prettamente casuale, dettato da una singolare
convergenza di destini fra motivazioni assolutamente antitetiche fra
loro: ma, al contrario, un elemento univoco e predeterminato,
inoppugnabile, eterno nel tempo e immutabile nello spazio.
Non
deve assolutamente sorprendere questa rigidità classificatoria di
così chiaro stampo manicheo. Non deve sorprendere per due ottime
ragioni. Innanzi tutto perchè, da sempre, non esiste
"filone" della Musica Giovane che non sia stato mummificato
dentro un aggettivo (o un sostantivo) "forte": tant'è vero
che il rock 'n' roll è "rivoluzionario" per definizione, il
blues "triste", il soul "passionale", il punk
"anarchico", l'heavy metal "bianco e violento" (e
la casistica potrebbe continuare all'infinito). In secondo luogo
perchè, a un ceto sociale come quello degli yuppie, non poteva essere
sufficiente, come criterio "interno" di riconoscibilità e
di complicità, il rito materialisticamente pragmatico della
contrattazione in borsa, del distacco delle cedole, della circolazione
del capitale finanziario. Occorreva un qualcosa di più aereo e
sottile, vorremmo dire meditativo e trascendentale: e la NAM, con il
carico di "Nuova Era" che portava dentro di sè, così
apparentemente distaccato da tutte le grettezze del mondo reale,
rappresentava quanto di più adatto fosse disponibile in
"quel" tempo e in "quelle" condizioni.
Non
bastasse tutto questo, la New Age cominciava anche a rifocillarsi di
dati quantitativi tutt'altro che disprezzabili. Tant'è vero che
"December", disco esclusivamente pianistico di George
Winston, aveva raggiunta la quota di 2 milioni di copie vendute (nei
soli Stati Uniti). E poi la Windham Hill, l'etichetta discografica
creata ad hoc dai dinamicissimi coniugi Ackerman, cominciava a essere
subissata di richieste: dal Giappone e dal Canada, dal Sud America
all'Europa, Germania in testa. Last but not least - grazie ai
talloncini astutamente inseriti dentro ogni disco Windham Hill -
iniziava a prender forma, su tutta la faccia del globo terracqueo, lo
"zoccolo duro" degli ascoltatori di NAM: che compilavano la
loro cartolina postale, la spedivano all'apposito ufficio di Palo
Alto, e ne venivano contraccambiati con un "ritorno di
informazioni" a dir poco mastodontico (quali erano gli altri
acquirenti abituali di NAM, quali "new ager" ascoltavano
preferibilmente, quali dischi erano disposti a scambiarsi fra di loro,
a quali "fan club" - chiamiamoli così - erano iscritti, e
via di questo passo). Insomma, le cose procedevano a meraviglia. Tanto
bene che non ci sorprenderemmo per nulla se Tom Wolfe, nel suo
prossimo libro sulla caduta del "mito yuppie", dovesse
prendere spunto non soltanto dalla raffinatissima "mailing
list" della Windham Hill, zeppa di segreti come e più degli
schedari del KGB: ma anche da tutte le riviste mensili, specializzate
e non, sorte come funghi attorno al "fenomeno NAM" dalla
metà degli anni Ottanta a tutt'oggi.
Oppure
anche, perchè no?, dalla tipologia di tutte le altre etichette
discografiche - piccolissime, piccole e medie - immediatamente
impiantatesi sul mercato internazionale per seguire l'esempio della
Windham Hill. Vogliamo buttar lì un po' di nomi, tanto per verificare
da vicino la capillarità del fenomeno? Eccoli: Badland, Blue Flame,
Chase Music Group, Feels So Good, GRP, Higher Octave, Innovative
Communication, Music West, Narada Music (saggiamente distinta fra
Equinox, Lotus e Mystique), Nova, Private Music, Prudence, Sonic Edge,
Spindletop Records, Tall Tree Records, TBA, River Music, Tuxedo Music.
A queste etichette, tutte americane, tutte create a immagine e
somiglianza della "grande mamma" Windham, occorre poi
aggiungere le tedesche Nebula Records e Racket Records, le italiane
Folies Art e Strumento, e chissà quante altre casupole indipendenti
del Giappone e della Norvegia, dell'Islanda e della Scozia. E anche,
dulcis in fundo, la prestigiosissima ECM di Monaco di Baviera.
Giunti
a questo punto, sappiamo già quale sarà il moto di sorpresa dei
militanti della Parrocchietta del Jazz Verace. Diranno: "Ma come,
la ECM non è l'etichetta che ha inventato il mito di Keith Jarrett e
Pat Metheny, che ha dato da mangiare ai "radicali" della
Globe Unity, che ha rivitalizzato Don Cherry e Charlie Haden, che ha
ospitato l'opera omnia di Carla Bley, che ha fatto conoscere in tutto
il mondo Egberto Gismonti e Jan Garbarek, Terje Rypdal, Jack De
Johnette, Meredith Monk e Shankar? Che ci fa, una "jazz oriented
label" come la ECM, nel mare magnum della NAM?". La domanda
non è priva di una sua (più che legittima) logica. Ma la risposta,
senza neppure scomodare la formula tanto cara a Sir Arthur Conan Doyle
- "elementare, Watson" - non può che suonare scontata,
ovvia come piacerebbe a monsieur de La Palisse. Nell'iscriversi al
club della New Age, la ECM - come, del resto, tante altre etichette
pari grado - non ha fatto altro che seguire le leggi immanenti del
mercato. Che nel frattempo - visto che abbiamo ormai abbondantemente
superato il traguardo temporale del "lunedì nero" del 1987
- hanno completamente mutato l'identità interna della NAM: l'hanno
trasformata, da "fenomeno musicale" qual era, in un puro
reperto di marketing, provvisto di regole proprie, di
"packaging" ben caratterizzato (l'elegia delle copertine,
innanzi tutto), di precisi criteri di riferimento (le famose
"good vibrations", più o meno). Tanto che ormai basta
stampigliare sull'esterno del disco il magico binomio "New
Age", per avere immediatamente a disposizione, in ogni angolo del
mondo, alcune decine di migliaia di acquirenti.
Se
vi ricordate, un accidente del genere era stato sperimentato anche con
il rock 'n' roll, ai tempi della sua massima esplosione planetaria.
Erano i tardi anni Cinquanta, e anche allora era sufficiente
classificare qualunque cosa come "rock" - dalla melassa di
"It's now or never", di Elvis Presley, ai patetici pigolii
di Pat Boone - per avere interminabili schiere di clienti alla porta
dei negozi di dischi. E adesso - in piccolo, molto in piccolo - il
fenomeno si ripete con la New Age. Tanto che, da tre o quattro anni a
questa parte, in quello che abbiamo definito "sotto-genere"
(ma che ora, più propriamente, potremmo ribattezzare come
"espediente di marketing") confluiscono tutti, ma proprio
tutti: i jazzisti Pat Metheny e Chick Corea, gli avanguardisti David
Van Tieghem e Anthony Braxton, i meditativi Mark Isham e Jon Hassell,
gli appassionati di "vibrazioni cosmiche" come i Tangerine
Dream (e i Popol Wuh, e gli Ash Ra Temple), il barocco Jean Michel
Jarre, i fusionisti Billy Cobham e Billy Ocean, la "soul
sister" Nona Hendryx, i campioni del blues fané Canned Heat ed
Eric Burdon. E chissà quanti altri ne tralasciamo.
Dicono
i soloni della NAM che questa evoluzione è, in ultima analisi,
assolutamente naturale: perchè, come ricorda P. J. Birosik in un
recentissimo numero di "Billboard", "la New Age è un
po' come la moda: deve adattarsi alle mutate esigenze del pubblico,
deve cambiare insieme a lui". Sarà anche vero. Ma a noi, che non
abbiamo mai amato le classificazioni di genere (soprattutto se queste
sono dettate non da concezioni estetiche, ma da pure esigenze di
commercio), questo cannibalismo di cui la NAM pare abbondantemente
provvista fa un po' specie e un po' terrore. D'accordo che l'Armata
Yuppie pare ormai allo sbando come le truppe del generale Cadorna a
Caporetto; d'accordo che le conseguenze del "lunedì nero"
sono ancora ben lungi dall'aver esaurito tutti i loro effetti, anche
sul versante della Musica Giovane; d'accordo che i "gusti del
pubblico" - quei gusti che, almeno a parole, tutti vogliono
privilegiare e rispettare - richiedono a gran voce, qui e ora, un
immediato ritorno al fascino della vocalità e dei suoni naturali, e
premono irresistibilmente per la creazione di un nuovo sincretismo
musicale.
Ma,
dato per scontato tutto questo, ci pare ugualmente un po' folle, per
non dire mistificatoria, l'affermazione di Howard Martin, general
manager della Planetary Productions: "la NAM è ormai la sintesi
suprema di tutte le musiche del mondo. Perchè, grazie a Paul Simon e
al suo disco "Graceland", abbiamo capito di poterci
tranquillamente inserire anche nel filone della World Music: un filone
in nettissima fase di espansione". Molto meglio, allora,
l'onestà mercantile di cui dà prova Ethan Edgecombe, manager della
Fortuna Records, quando candidamente ammette: "Il termine 'New
Age' è ormai molto cotroproducente, soprattutto in Europa e in Asia:
confonde le idee della gente, la spinge verso altri prodotti
discografici, perchè ormai in questo termine si trova tutto e il
contrario di tutto. Abbiamo urgentemente bisogno di un neologismo più
'trendy' e più efficace". Ma no, mister Edgecombe, non sia così
pessimista: non di un neologismo più efficace abbiamo bisogno. Quel
che ci pare urgente, semmai, è lasciar liberi Paul Simon (e Sting, e
Peter Gabriel, e David Byrne, e chissà quanti altri ancora) dalla
gabbia dorata in cui sono stati così subdolamente richiusi, contro la
loro stessa volontà. E augurare alla New Age un tranquillo, eterno
riposo. Amen. |