soltanto nel pomeriggio del 31 ottobre sono state risolte con una complessa transazione le vertenze processuali ancora in corso). E' ritornato nello stesso luogo che l'aveva visto trionfare nel 1990, il PalaTenda di Lampugnano (ex PalaTrussardi e PalaVobis), alla testa di una band assolutamente straordinaria e con una voglia di comunicare che non gli conoscevano. Certo, il suo eloquio non ha nulla dell'approccio torrenzial-filosofico di un Carlos Santana o della verve autoironica di un
Robert Plant, tanto per citarne un paio a caso: ma riempie comunque di parole e di sillabe l'etere circostante, e non soltanto i mega-schermi di fondo come accadeva ai tempi di "Alphabet Street". Dice cose semplici e quasi scontate, il Genio di Minneapolis. Per esempio, quasi a sottolineare l'affetto che da sempre lo lega alle nostre terre, ripete alcune decine di volte il nome di Milano: anzi "Milan", con grande scorno dei tantissimi tifosi interisti presenti in sala. Oppure domanda: "Vi sono mancato?"; e appena dalla platea si alza un poderoso "yeahhhhh!!!", lui urla: "voi sì, moltissimooooo!!!". E ancora: "My name is Prince... Sarò il vostro dj questa sera!". E via con una serie di riff torrenziali, a metà strada fra la fusion e il rhythm 'n' blues, tirati fino al calor bianco da una sezione di fiati da mille e una notte, dove svettano per avvenenza una bionda sassofonista olandese, Candy Dulfer, e per maestria il grande Maceo Parker, già osannato ai tempi (ormai lontani) in cui era alle dipendenze di James Brown, e ora ancor più formidabile nel modulare la voce alquanto nasale e stridula del suo sax alto.
Proprio come aveva fatto con Milano, anzi Milan, anche con Maceo Parker Prince ripete il nome decine e decine di volte, fra l'orgoglioso e l'ammirato. E anzi lo infila di prepotenza in una sorta di Gotha dei Grandi - accanto a Rufus Thomas e Chaka Khan, George Clinton e Sly dei Family Stone - per polemizzare a lungo, ferocemente, con i network radiofonici: "che non trasmettono mai "real music", la musica di questi meravigliosi artisti". E' davvero il gran forma, quello che un tempo era per tutti "il folletto di Minneapolis". Ma ora, a 45 anni suonati, "folletto" non è davvero più, anche se mantiene un'agilità di corpo e di mente davvero invidiabile. E' un uomo fatto e finito, ormai, stretto dentro un completo nero anni Trenta, pettinato con la riga di parte, quasi come un Rodolfo Valentino redivivo. Dei vezzi di un tempo, Prince mantiene intatto quello di suonare su decine di chitarre diverse e di adornarle con i simboli maschile (la freccia, proprio come il glifo del pianeta Marte) e femminile (la croce sovrastata dal cerchio, proprio come Venere): interpretati per anni come altrettante confessioni di ambiguità sessuale. Così come intatto - e non potrebbe essere altrimenti - è il suo gusto per le scenografie, le luci, il modo di miscelare i colori: un gusto davvero straordinario, anche se oggi incomparabilmente più semplice e scarno rispetto a vent'anni fa.
Ma, per il resto, molto, quasi tutto, è cambiato. Oggi Prince è un musicista completo, formidabile, colto, vitale, pienamente rispettoso della storia della Great Black Music, tanto per rievocare un termine assolutamente felice coniato dall'Art Ensemble of Chicago. E soprattutto libero, straordinariamente libero. Primo fra le star del rock & dintorni, già sei anni fa ha scelto di intrattenere con il suo pubblico un rapporto pienamente diretto, non più mediato dalle case discografiche. Ha aperto un sito web -
www.npgmusic-club.com - al quale si può accedere versando una quota di iscrizione di 100 dollari all'anno, che gli serve per comunicare con i suoi fans e per vendere i suoi dischi. Il penultimo, "The Rainbow Children", si trova anche nei negozi, ma l'ultimo - "One Nite Alone", per voce e pianoforte, registrato in una notte di solitudine e di plenilunio - assolutamente no: chi lo vuole lo deve acquistare via Internet. Quanto al rapporto con i fans, Prince non si limita a coltivarlo nell'etere: appena può lo rinvigorisce di persona, proprio come è successo nel tardo pomeriggio di giovedì. Quando il Genio si è lungamente intrattenuto con i suoi 300 aficionados italiani, e proprio per questo il concerto è iniziato mentre fuori dal PalaTenda c'era ancora una fila di tremila persone almeno (su un totale di quasi diecimila).
Il concerto, appunto, è il miglior passaporto della nuova identità di Prince. E' un vulcano di invenzioni, di improvvisazioni e di variazioni: di ritmo, di strutture e di mood. E' un torrente in piena di due ore e mezza abbondanti, che spazza via tutto ciò che trova davanti a sè. E' un mélange coloratissimo di jazz, di funky, di rock e di soul, dove convergono per intero il magnifico "One Nite Alone" e alcuni reperti sceltissimi del passato presente e lontano: "Sign o' the Times", "Starfish and Coffee", "Diamonds and Pearls", "Lovesexy", "Alphabet Street", "Nothing Compares 2 U". E ovviamente l'indimenticabile "Purple Rain", capace di incendiare migliaia di accendini al solo trillare delle prime due note. Tutte cose che, a quanto pare, andranno a formare il triplo "One Nite Alone Live": il primo cidì dal vivo di Prince in 25 anni di carriera, annunciato per i mesi prossimi. Tutte cose che, nel frattempo, hanno scaldato i cuori dei diecimila del PalaTenda, in una notte di Halloween davvero memorabile. |