Dove sette anni fa, nel 1994, due talentuosi ragazzi, la vocalist Louise Rhodes e il multistrumentista Andy Barlow, fondarono il Lamb di cui stiamo chiacchierando: un gruppo caleidoscopico, dalle mille sfaccettature e dai mille riferimenti, un po' di trip-hop e un po' di jazz, un po' di elettronica post-cageana e un po' di New Age intelligente, un po' di materialità pulsante e un po' di spiritualità onirica, un po' di dark formato Fabolous Eighties e un po' di barocco alquanto rococò. E questo cocktail ardimentoso cominciava a conquistare anche i palati più esigenti, e tutto andava come meglio non si sarebbe potuto immaginare, quando, all'improvviso, come sempre succede in questi casi, cominciarono i litigi fra i due. E, con i litigi, anche le minacce, nient'affatto velate, di sciogliere il Lamb della leggenda. Per la totale disperazione dei fans - tanti, tantissimi - che nel frattempo Andy & Louise si erano conquistati.
E invece, come si diceva, l'Agnello è finalmente ritornato all'ovile. Ci è tornato qualche mese fa, dando alle stampe il terzo album della sua epopea: l'eccellente "What sound" (Mercury). Ci è tornato mettendo in piedi perfino un tour europeo, che la sera di giovedì 29 novembre ha toccato anche il Propaganda di Milano: e questo è l'altro mezzo miracolo che mancava per farne uno intero. Perché non è certo un mistero per nessuno che un ensemble come il Lamb sia sicuramente più adatto alla perfezione acustica di uno studio di registrazione, piuttosto che al caos incontrollabile di una discoteca: dove tutti parlano fumano e sghignazzano, e i cellulari non smettono un attimo di trillare, e la quasi totalità delle conversazioni verte, quando va bene, sulla postura scenica della deliziosa Louise. Che se ne sta in piedi davanti al microfono, immersa dentro un completino color verde marcio, più immobile di John Entwistle, il leggendario bassista dei Who: tanto rigida e impassibile da assomigliare al manifesto pubblicitario del leggendario MIM, il Movimento Immobilista Molisano inventato una ventina d'anni fa da quei burloni del "Male". Un Movimento che nel suo manifesto di fondazione aveva adottato questo aforisma: "Perché restare fermi quando è possibile rimanere immobili?". Domanda sacrosanta, che miss Rhodes deve aver letto da qualche parte e fatto immediatamente sua. E sarà forse per questo, anche per questo, che il suo fedele sodale Barlow ogni tanto abbandona la sua postazione annegata fra tastiere computer e sintetizzatori, e si avvia a passo spedito verso il fronte del palcoscenico: a scrutare il pubblico festante e a lanciare un po' di "oooooohhhh!!!!" in perfetto stile Flintstones. Che, un po', servono a turbare le chiacchiere dei tanti telefoninisti in servizio permanente effettivo. E, per l'altro po', cercano di riportare sulla cruda crosta terrestre la sognante Louise: che nel frattempo, nei suoi ricorrenti viaggi astrali, era già arrivata a metà strada fra qui e la lontana stella Arturo.
Ma comunque il concerto è bello, intenso e godibile: a dispetto della pessima acustica del Propaganda. Recupera quasi tutti i materiali di "What sound" e qualche canzone da "Fear of fours". E' anche sorprendentemente variegato, quando restano a far musica soltanto gli strumenti, chitarra basso e percussioni, e il buon Barlow annuncia tutto giulivo: "ora, con lo "scratch bass", entreremo nel vostro stomaco, nel vostro cuore, nella vostra mente!". Ma questo, diciamolo chiaro, è fore un obiettivo un po' troppo ambizioso per l'Agnello in versione puramente strumentale, perché non v'è chi non sappia (e non senta) che il suo autentico centro di gravità permanente ruota attorno alla voce di miss Rhodes: così ipnotica complice e suadente da sfiorare l'estasi, così splendidamente sintonica con l'estetica ambigua di altre grandi vocalist anglosassoni come Margareth Frazer, Lisa Gerrard e Natalie Merchant. E' lei che afferra le note di "What sound", "Heaven", "I cry", "Small" e "Sweetheart" e le trasforma in stelle filanti dai mille colori, che galleggiano nell'aria per un tempo che pare infinito, prima di planare nelle orecchie di chi ascolta. E' lei che che regala splendida credibilità alle liriche di "Gabriel", scritte in onore del mistico sufi Rumi. E' lei che, quando vuole, innerva di sofisticate pulsioni ritmiche le arie che meno somigliano a "ballad" tardo romantiche. E' lei, insomma, l'energia vitale dell'Agnello: la sua Kundalini sacra e profana. Evviva! |