capita Franco
Battiato, come sempre accompagnato dal fidatissimo filosofo-amico Manlio Sgalambro, allora la faccenda si fa ancora più impalpabile. Perché il nostro simpatico amico, proprio come il Bagatto dei Tarocchi, ha la straordinaria capacità di mutare pelle, musica e anche faccia, a seconda delle situazioni che intende investigare. E questa volta, per lanciare in tutto il mondo l'ultimo prodotto discografico del suo multiforme ingegno, ha deciso di inaugurarne una mai sperimentata in precedenza. E' la faccia alquanto ironica, per non dire sarcastica, che compare sulla cartellina-stampa, e che riprende la posa tipica degli "eroi" del realismo socialista tipo Kim Il Sung e Chen Po Ta: inquadrata da sinistra a destra, mentre osserva il sol dell'avvenir che splende alto nel cielo vermiglio. Ma ovviamente, giocando in detrazione, questa faccia non compare sulla copertina del disco: dove, davanti al medesimo sole, fa invece bella mostra di sè un poderoso operaio con una gran martello in mano, e una gigantesca incudine su cui giace un lingotto di metallo da forgiare. E infatti il disco in questione si chiama "Ferro battuto" (Columbia), ha i caratteri di un bel simil-cirillico, e pare davvero - dal punto di vista grafico - la riedizione delle riedizioni dei primi manifesti sovietici degli anni Trenta. Proprio da qui, allora, conviene cominciare...
Come mai questa scelta, Franco?
"E' semplice. Trovo che le icone dei regimi totalitari siano, da sempre, mostruose, ridicole e affascinanti al tempo stesso. Quindi, le ho volute caricare di segni ancor più paradossali, tanto per far capire fin da subito che questo è un album essenzialmente ludico. Un inno alla gioia di vivere, anche quando tocca le corde della malinconia".
La musica, invece, è l'esatto
opposto. Dieci canzoni che sembrano una sequela di "pezzi unici", redatti nelle lingue più tipiche di oggi: la techno, la lounge, la ambient, la dance canonica...
"Eh, già... E' come quando cammini sul tapis roulant e ascolti la radio per mantenere il ritmo. E' un qualcosa di molto funzionale all'attività fisica, e mi piacerebbe proprio che questo presupposto venisse tenuto a mente. Molto spesso, infatti, si accusano le radio di essere troppo commerciali, e a volte questo è anche vero. Ma bisognerebbe pure ricordarsi che non tutta la "musica da tappezzeria", per dirla con Erik Satie, è uguale: ce n'è una che può andar bene quando guidi e un'altra, per estremizzare, molto più consigliabile quando leggi o quando mediti. Ecco, per dirla con una formuletta questo è un disco molto raccomandabile per l'accompagnamento esteriore. Non so se ho reso l'idea...".
Qualche curiosità spicciola, Franco. La prima riguarda "Sarcofagia", liberamente ispirata al trattato di Plutarco "Del cibarsi di carne"...
"Mi diverte molto, visto che sono vegetariano convinto...".
La seconda, invece, è la cover di "Hey Joe" di Jimi Hendrix...
"Beh, questo è un pezzo che eseguivo molto spesso quando avevo vent'anni, e andavo in giro per balere a suonare. Io non sono mai stato un hendrixiano doc, ma davanti al genio, qualunque esso sia, vado sempre in delirio. Dunque, rifare Hendrix mi andava bene, e in un primo momento avevo pensato a "Stone free". Ma poi mi sono reso conto che non era tanto adatto alle mie corde, e che anche una versione canonica di "Hey Joe" mi pareva deviante. Allora ho cambiato un paio di armonie, da maggiore a minore, ed eccola qua!".
L'altra curiosità - molto più rilevante, visto che hai sempre cordialmente detestato il jazz - riguarda invece la "piece" di Django Reinhardt e Stephane Grappelli che hai campionato in "Scherzo in minore". Che ne dici?
"Che quello non è certo jazz, ma soltanto divertimento ritmico. Swing allo stato puro. Proprio come l'orchestra travolgente di Benny Goodman con Gene Krupa alla batteria. O come certo rock di fine anni Cinquanta, scanzonato, galoppante e irresistibile. Sono questi i "modelli" che mi hanno guidato per dialogare a distanza con il "Minor swing" di Reinhardt e Grappelli".
Passiamo alle collaborazioni. Quella più eclatante riguarda Jim Kerr, il leader dei Simple Minds...
"A Jim era molto piaciuta la mia "Shock in my town", e mi ha chiesto l'autorizzazione di poterla campionare.Così è venuto a trovarmi in Sicilia, e l'ho trovato molto signorile, educato e umile... Collaborare con lui è stata una conseguenza naturale".
Poi, in un paio di canzoni, c'è la voce della grande Natacha Atlas...
"Già... In quelle due canzoni - "Personalità empirica" e "Il potere del canto" - mi serviva una voce "altra": di impostazione non anglo-americana, insomma. E quando un paio dei miei collaboratori abituali mi hanno suggerito, contemporaneamente, il nome di Natacha... ho pensato che due coincidenze erano francamente troppe per non essere anche significative. Così ho telefonato a Natacha, e sono molto contento di averlo fatto!".
L'ultima curiosità riguarda il tuo rapporto con Manlio Sgalambro. Ormai siete inseparabili...
"Così pare a tutti quanti, anche se vorrei precisare che la nostra è una collaborazione molto "sui
generis". Infatti non lavoriamo mai a stretto contatto di gomito, ci limitiamo a mandarci reciprocamente dei fax. Poi, in una fase più avanzata della lavorazione, io mando una cassetta a Manlio con un abbozzo di musica, e lui me la rimanda con qualche idea di testo. Andiamo avanti così, con grande beneficio delle poste, fino a lavoro ultimato. E devo dire che continuiamo a divertirci un mondo!".
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